Idee per i democratici a partire da Ken Martin, quello che dà i pugni
Forse quello che è mancato all'organizzazione democratica fin ora è l'ambizione di vincere a ogni costo, costruendo coalizioni solide che non contino solo sugli elettori urbanizzati
Normalmente l’elezione del presidente del comitato nazionale del Partito democratico americano passa sotto silenzio, o quasi. Si tratta, in genere, di un funzionario che si occupa di cose assai noiose per il grande pubblico, come questioni organizzative o raccolte fondi, ma anche regole e date per organizzare le primarie presidenziali. Stavolta però l’entità della sconfitta subita a novembre, con la perdita nel voto popolare a suggellare la conquista repubblicana di presidenza, Camera e Senato, fa sì che ci fossero più occhi puntati sul ritiro invernale dei democratici dove domenica è stato eletto il nuovo leader Ken Martin, che ha prevalso al primo round di voto contro il leader del partito in Wisconsin Ben Wikler e l’ex governatore del Maryland Martin O’Malley.
Ex presidente del partito in Minnesota dal 2011 fino a pochi giorni fa, figlio di una madre single cresciuto in una situazione di povertà economica, il suo messaggio che ha convinto i delegati provenienti da cinquanta stati è stato molto semplice: vincere e durare. E’ questa la ricetta con cui ha costruito una lunga serie di vittorie in uno stato che, come Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, aveva tutte le carte in regola per diventare preda di un partito repubblicano trumpizzato e populista. E invece non ha mai perso un’elezione statale, un record impressionante per uno stato lontano dalla costa, ad alta percentuale di bianchi e con un fitto tessuto di comunità rurali e poco urbanizzate. Il segreto, dicono gli avversari e gli alleati, è la sua spietatezza: si sacrifica tutto per il risultato. Ha dichiarato durante un forum ospitato dal magazine Politico: “Io sarò quello che tira i pugni, così che i candidati potranno usare toni alti nei loro discorsi pubblici”. Perché forse è proprio questo che è mancato all’organizzazione democratica: l’ambizione a vincere a ogni costo, costruendo coalizioni solide che non contino solo sugli elettori urbanizzati. Martin poi non ha bisogno di chissà quali corsi immersivi e studi per avere un contatto diretto con la working class trumpizzata: suo fratello è un carpentiere che ha votato tre volte per il tycoon.
Un sondaggio Quinnipiac di dicembre ha restituito l’immagine di un Partito democratico più impopolare dello stesso Trump: soltanto il 31 per cento degli elettori ha una visione positiva, mentre i repubblicani registrano un robusto 45 per cento. Nulla vieta però un recupero, magari già il prossimo anno, alle elezioni di metà mandato. Uno studio pubblicato dal gruppo centrista Third Way, scritto da due consulenti democratici esperti, William Galston e Elaine Kamarck, restituisce un quadro chiaro. In pratica: i democratici non possono più dare per scontato il voto delle minoranze e non possono fare affidamento sugli umori dei progressisti. A causa di questi, l’Amministrazione Biden nei primi anni ha lasciato fluire troppi migranti irregolari, si legge nello studio. Come conseguenza, tra i latinos e gli afroamericani si è strutturato un pensiero strisciante che i migranti stessero drenando troppe risorse, mentre si è diffusa la percezione speculare che i repubblicani fossero “dalla loro parte”. Infine, c’è la geografia: non si può più far affidamento solo sul New England e sulla California.
Nel suo discorso programmatico, Martin ha detto che anche il Tennessee, uno degli stati dominati dai repubblicani, deve tornare competitivo. Se non si comincia mai, non si vincerà più stabilmente, ma solo in modo episodico, come accaduto nel 2020, con numeri fragili ed effimeri. E il nuovo leader vuol essere il garante di un nuovo modo di pensare. Non a caso, non ha avuto l’endorsement di nessuno dei grandi leader nazionali come Nancy Pelosi o Chuck Schumer, che gli preferivano Wikler, ma ha prevalso tra i militanti e i dirigenti che hanno il polso della situazione e la consapevolezza che davanti c’è un lavoro lungo.
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