A Bruxelles

Starmer si ritrova a misurare la solitudine del Regno, fra Trump e l'Ue scocciata

Paola Peduzzi

Il premier britannico è il primo a partecipare a un vertice europeo da quando c'è la Brexit. La difesa dell'Ucraina e i dazi americani al centro della discussione, con Londra in mezzo tra Trump (in queste ore più clemente con il Regno Unito, finché dura) e l'Ue che vuole un reset serio

Keir Starmer, il primo premier britannico a partecipare a un vertice europeo da quando c’è la Brexit, voleva parlare della difesa dell’Ucraina e della necessità che gli europei e gli occidentali – quindi anche il Regno Unito formalmente fuori dall’Unione europea – restino compatti e decisi. Di fianco a lui, nella conferenza stampa prima della cena del vertice, c’era il segretario generale della Nato, Mark Rutte: era naturale che si parlasse di sicurezza, difesa comune, investimenti. Invece no, i giornalisti volevano sapere se Londra sceglierà l’America o l’Europa, nel conflitto scatenato dall’Amministrazione Trump. E’ una non scelta, ovviamente, il Regno Unito non può permettersi di schierarsi di qui o di là, è parte in causa con interessi enormi in entrambi i campi. E’ proprio in questo momento che si vede l’effetto più deleterio della Brexit: non l’impoverimento, non il controllo che non è stato affatto ripreso, quanto piuttosto la solitudine, dover agire da soli in un mondo che si sta ripolarizzando, con un presidente americano che s’ispira alle dottrine imperialiste ed espansionistiche di fine Ottocento invece che alle regole vigenti da ottant’anni nell’ordine liberale occidentale. Non far parte di un gruppo, di un polo, oggi è quanto mai pericoloso, ed è per questo che il costo della Brexit va ben oltre i più e i meno dei conti britannici.

 

Starmer ha iniziato la conferenza stampa a Bruxelles parlando di Kyiv, dove è stato di recente: “Questa non è una guerra in Ucraina, ma contro l’Ucraina – ha detto – contro i suoi figli e contro il suo futuro”. La pace, ha aggiunto, arriverà attraverso la forza, dobbiamo fare tutto quel che è necessario per sostenere la difesa dell’Ucraina”. In coro con Rutte, il premier britannico ha detto che bisogna “intensificare” l’aiuto a Kyiv, in modo che si presenti in posizione di forza al negoziato, e che tutti gli europei devono fare questo sforzo. Poi però, inevitabilmente, la discussione si è spostata su Donald Trump, sulla guerra commerciale appena partita nei confronti di due alleati nonché confinanti, il Messico (che ha negoziato un mese di tempo) e il Canada, e che è in arrivo anche per l’Ue. E il Regno Unito? Negli ultimi giorni Trump è stato un pochino più clemente con Londra, ha detto che ci sono state conversazioni positive, non ha usato lo stesso tono vendicativo che ha con l’Ue che lo ha “trattato molto male”: forse per il momento il presidente protezionista vuole risparmiare l’alleato speciale. Ma si tratta di una quiete recente, perché sono mesi che invece l’aggressione non tanto contro il Regno Unito ma specificatamente contro Starmer è dura: l’agente è sempre Elon Musk, il tycoon cui evidentemente è stata assegnata come zona d’influenza l’Europa e che chiede ininterrottamente le dimissioni del premier britannico (su X, il social di Musk, se si fa la ricerca su Starmer la prima cosa che esce è “Starmer out”). Alla conferenza stampa a Bruxelles, Starmer ha detto, rispondendo sui possibili dazi in arrivo, che “questi sono soltanto i primi giorni” e che tutti conoscono, anche l’Amministrazione Trump, i benefici dei mercati liberi e degli accordi in questo senso: a domanda diretta sulla scelta fra America ed Europa, ha detto che non è assolutamente necessaria. Più che altro, come ha confermato il segretario generale della Nato Rutte, immaginare un mondo con gli Stati Uniti come nemici non è fattibile, “l’idea di una Nato senza America è sciocca”, anche se ovviamente non remotissima.

 

Gli europei si stanno preparando ai dazi in arrivo dall’America, ma sono anche un pochino scocciati da Starmer, che ha iniziato il suo mandato nel luglio scorso ospitando gli europei, andando a Berlino e parlando di un “reset” delle relazioni e degli affari con l’Ue, ma poi non ha fornito dettagli e anzi ha messo soltanto paletti. Parigi è particolarmente insistente, soprattutto per quel che riguarda le questioni marittime (durante i negoziati sulla Brexit, quando non c’era un conflitto vero in Europa e si usavano termini allarmistici con più facilità, c’era stata la “guerra delle capesante”, con liti e sabotaggi tra pescatori inglesi e francesi), e dice che Starmer dovrebbe ammettere che il divorzio è stato un disastro e lo è ancora di più oggi con i dazi che incombono. Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, è sempre stato più clemente, ma tra meno di un mese non sarà più alla guida della Germania, quindi la sponda tedesca verrà a mancare. Il premier britannico, che è sempre stato uno pragmatico nei confronti della Brexit, deve decidere che cosa è disposto a concedere in questo reset, perché questa cautela potrebbe costargli molto nel momento in cui l’indulgenza trumpiana nei suoi confronti – indulgenza di 48 ore, non tanto – potrebbe sparire da un momento all’altro. Che questa solitudine in questo momento sia così pesante si vede dal fatto che Nigel Farage, leader nazionalista vicino a Trump e fino a poco tempo fa anche a Musk, che è più volubile, sta organizzando una grande manifestazione in difesa della Brexit: da molto tempo il divorzio è uscito dal dibattito pubblico, ma una festa di celebrazione proprio non se l’aspettava nessuno.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi