Netanyahu chiama Dermer per allineare Trump alle esigenze di Israele

Micol Flammini

Bibi ha il suo uomo degli accordi difficili, che adesso deve trovare il modo di gestire la seconda fase del negoziato con Hamas, la normalizzazione dei rapporti con l'Arabia Saudita e l'eliminazione del progetto nucleare dell'Iran

C’è un uomo a cui il primo ministro Benjamin Netanyahu si affida quando in ballo c’è qualcosa di molto complesso, come la formula matematica in grado di garantire la liberazione di tutti gli ostaggi rapiti da Hamas, la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita e l’eliminazione del programma nucleare iraniano. Quest’uomo è, proprio come il premier, un israeliano che negli Stati Uniti è di casa, anzi, c’è nato, ha coltivato rapporti molto stretti e ha realizzato la sua carriera politica. Quest’uomo è il tenutario di un ministero dal nome ambizioso – ministero per gli Affari strategici – e, da quando è diventato presidente Donald Trump, è anche il capo negoziatore per la seconda fase dei colloqui che dovrebbe portare alla liberazione di tutti gli  ostaggi e al cessate il fuoco definitivo a Gaza. Quest’uomo è Ron Dermer, nato a Miami, cresciuto in ambienti politici americani.

 

Ieri Netanyahu ha incontrato Trump alla Casa Bianca, l’invito non era soltanto una questione di onori – il primo leader internazionale in visita di stato – ma anche di doveri. Durante la conversazione Netanyahu ha cercato di sovvertire l’ordine delle priorità trumpiane. Se per il capo della Casa Bianca il primo punto deve essere l’accordo su Gaza, poi la normalizzazione con l’Arabia Saudita e un negoziato con l’Iran, il premier israeliano rimane convinto che invece la prima urgenza sia disarmare l’Iran che anche secondo gli americani è a un passo dalla Bomba. 

 

Teheran è abile a protrarre le discussioni a lungo, sa che Trump, a dispetto delle sanzioni, vuole negoziare e il messaggio di Israele è di ridurre i tempi che porterebbero a un chiacchiericcio vuoto con il regime iraniano, che nel frattempo ultimerà il suo progetto nucleare, e agire perché è già tardi. Il presidente americano non sente ragioni, vuole che prima finisca la guerra a Gaza, quindi venga negoziata la seconda fase, per cui da ieri sono iniziati i primi colloqui a Doha. Netanyahu ha cambiato la sua squadra negoziale, David Barnea, capo del Mossad che prima era il capo negoziatore,  rimane in una posizione di rilievo, ma adesso il suo ruolo  è nelle mani di Dermer che è il campione di allineamento degli interessi tra Israele e Stati Uniti. La decisione di promuovere il ministro degli Affari strategici risponde al fatto che i nuovi negoziati saranno diversi rispetto a quelli che hanno portato alla prima fase dell’accordo: gli interessi negoziali della nuova Amministrazione  non sono rappresentati dal capo della Cia, come è stato per Biden che aveva affidato la gestione a Bill Burns, ma dall’inviato speciale per il medio oriente Steve Witkoff, imprenditore amico di Trump. I colloqui si sposteranno più su un livello politico e Dermer dovrà tessere un negoziato in grado di tenere insieme la seconda fase di un accordo con Hamas, la normalizzazione con l’Arabia Saudita e il contenimento dell’Iran.

   

Trump ieri ha voluto parlare soprattutto di come far tornare a casa tutti gli ostaggi e preservare il cessate il fuoco a Gaza, è poco interessato alla tenuta del governo di Netanyahu, in cui il partito estremista Sionismo religioso potrebbe sfilarsi dalla coalizione e far collassare la maggioranza perché crede che Tsahal dovrebbe riprendere i combattimenti per eliminare definitivamente Hamas. Secondo l’ex console generale a Los Angeles Yaki Dayan in questa seconda fase di negoziato, Israele punterà tutto sulle garanzie e vuole un accordo che, sul modello del Libano, consenta a Tsahal di intervenire ogni volta che vede una violazione da parte di Hamas. Trump crede che il contenimento di Hamas sia possibile affidando la gestione della Striscia  all’Autorità nazionale palestinese (Anp), affiancata da uno degli stati arabi alleati di Israele. Per Israele credere che l’Anp sia capace di scalzare Hamas è irrealistico: è già stata  sconfitta in passato. 

 

Dermer ha ottimi contatti nel Partito repubblicano, da ambasciatore fu una figura di primo piano nella costruzione dell’architettura degli Accordi di Abramo, che in Israele vengono chiamati “l’accordo del secolo”. Per riproporre la seconda parte di quell’impresa storica, Netanyahu ha puntato di nuovo su di lui, ma oggi il compito è ancora più difficile. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)