Questa striscia non è un albergo; la folle soluzione di Trump per Gaza (e non solo)
Il presidente americano e la sua diplomazia alberghiera: anche per l'Ucraina, e la Corea del Nord
Ci salveranno i palazzinari? Nel delirio quotidiano della bro-sfera, mentre si cambiano le carte geografiche e il golfo del Messico si chiamerà d’America e alcuni giovani muskiani come tanti baby Brunetta danno l’assalto alla PA americana, adesso arriva anche la soluzione immobiliare per il Medioriente. Come è ormai noto Trump ha proposto di sgombrare quel che resta di Gaza e farci una “Middle East Riviera”, proprio mentre ci ha lasciato colui che davvero ne aveva creata una, e pure di un certo chic, il principe musulmano che dette vita alla Costa Smeralda.
Però l’Aga Khan, morto due giorni fa, non aveva proceduto a una pulizia etnica; anzi, dette anche un colpo al patriarcato sardo, arricchendo molte femmine che tradizionalmente ereditavano i terreni sul mare, considerati di nessun valore perché, non essendo ancora arrivato il turismo, non potevano essere adibiti a pascolo (i pascoli andavano ai maschi).
Dunque non più due stati, ma uno solo, però con la spa, questa la soluzione trumpiana, di questo Preatoni -in-chief, e sembra un ritorno alle origini per il figlio del palazzinaro del New Jersey, come nel film “The apprentice”, candidato all’Oscar, quando il giovane Trump, non ancora incontrato il suo mentore, l’avvocato intrallazzone Roy Cohn, un Previti sempre lampadato, ha in testa l’idea meravigliosa di costruire un hotel nella moribonda Manhattan della fine degli anni Settanta, quando New York sta fallendo sotto il peso del debito pubblico. Nessuno capisce il suo progetto, come Giordania ed Egitto oggi non capiscono perché questi palestinesi dovrebbero prenderseli proprio loro, pur amandoli tantissimo; però certo tutti e 2,2 milioni si capisce che è un po’ troppo. Ma è la via immobiliare alla politica estera, una variazione in grande su quella berlusconiana. Se il Cav. pretendeva di comprare una villa in ogni luogo di sventura, Trump esagera, e ci vuole costruire sopra un resort, cento resort, mille resort.
Se Berlusconi comprava la villa nella Lampedusa degli sbarchi, secondo il Wall Street Journal l’idea trumpiana dello stato alberghiero non è episodica: negli ultimi tempi sogna colate di cemento su tutti i teatri di guerra: certo, Gaza, che sarebbe “a prime piece of real estate”, ma poi l’Ucraina, che Trump avrebbe messo nel mirino specialmente per la zona intorno a Odessa, e l’avrebbe fatto presente al presidente Volodymyr Zelensky. Per vacanzieri dal gusto ancora più di nicchia ci sarebbe la Corea del Nord, territorio peraltro vergine al turismo di massa, figuriamoci all’overtourism: anche con Kim Jong Un Trump aveva avanzato progetti alberghieri già durante il suo primo mandato; e in Groenlandia? Con tutta quella neve magari ci mandiamo i napoletani sciatori di Roccaraso.
Gaza rimane però il pezzo più pregiato. Anche lo smilzo genero Jared Kushner, palazzinaro in proprio, marito di Ivanka, punta tantissimo su una soluzione uno stato-cinque stelle: il “waterfront” di Gaza sarebbe “very valuable”. “Pensate a tutti quei tunnel, a tutti i soldi spesi per le armi, se fossero investiti in istruzione e innovazione, cosa si sarebbe potuto fare”, avrebbe detto. In effetti, ci sarebbe una metropolitana praticamente già fatta. Ma poi farebbe tutto da solo o darebbe qualcosa agli amici? E ai nemici? Chissà che ne pensa J.B. Pritzker, il governatore dell’Illinois che quest’estate aveva ospitato Kamala Harris per la convention democratica, che definì Trump “un poraccio”, “perché io vi parlo da democratico ma soprattutto da miliardario vero”, essendo tra l’altro proprietario della catena Hyatt. E Bill Gates coi suoi Four Seasons? Di sicuro servirà comunque un decreto preventivo tipo Salva-Gaza, per non incorrere in contestazioni urbanistiche. Ma poi ci si chiede in che stile, ove mai, il presidente palazzinaro intenda edificare la “Gaza strip”, che già così suona molto Las Vegas (sempre in “The Apprentice”, Trump plana in elicottero su Atlantic City e sogna tutte le pensionate d’America a tirare la leva delle slot machine nei suoi nuovi casinò, poi in realtà è stato un fiasco).
Perché l’Aga Khan aveva inventato anche un linguaggio architettonico preciso, grazie ad architetti come il francese Jacques Couëlle, che in realtà era scenografo, e creò quel nuragico magico da Barbapapà con l’intonaco candido e il pratino all’inglese, che faceva la gioia dei cumenda. Trump ha anche firmato, nella miriade di provvedimenti dei primi giorni, un memorandum intitolato “Promoting Beautiful Federal Architecture” che punta a costruire edifici nel bello stile di una volta. Ci aveva già provato, anche qui, durante il primo mandato ma non se n’era fatto nulla. Che poi non si sa quale sia questo bello stile trumpiano: perché poi lui è più famoso diciamo per l’interior (o inferior) decoration, con le dorature Luigi XIV e i broccati stile Boss delle Cerimonie, mentre gli esterni dei suoi grattacieli sono di nessuno stile, si direbbe.
Ma la Casa Bianca attende proposte e progetti per nuovi edifici neotrumpiani entro 60 giorni. Di sicuro “applicheranno” il nostro conterraneo bresciano, architetto di Putin, Lanfranco Cirillo, e magari gli scenografi di “Gomorra” (una volta, intervistandoli, ci spiegarono che per creare quello stile avevano mischiato “Scarface”, un po’ di “Padrino”, un pizzico di Casamonica, e temevano di aver esagerato, ma poi i veri abitanti delle zone vicine al set presero a domandare entusiasti dove si potevano mai trovare in vendita quegli arredi). Magari Giorgia Meloni potrebbe raccomandare lo scenografo salentino che ha ideato il compound di Borgo Egnazia, la Mar-a-Lago della Valle d’Itria. Il Financial Times indignato teme invece che col nuovo corso trumpiano ricicceranno architetture classicheggianti di quelle che piacevano “a Mussolini e Hitler”, dimenticando che i due avevano gusti diversissimi, il secondo disprezzando il modernismo e il razionalismo del regime italiano; che poi pure Mussolini aveva già lasciato tutta una serie di tunnel belli e pronti, ma poi ci portò in guerra e non se ne fece più niente, perché c’è dittatore e dittatore, come c’è palazzinaro e palazzinaro.
l'editoriale del direttore