Arriva un nuovo lupo a Bruxelles, si chiama Lu Shaye
L'ex ambasciatore cinese a Parigi è tra i più impresentabili diplomatici di Pechino. La leadership di Xi Jinping l'ha appena premiato come rappresentante speciale per gli affari europei. Pure l'Ue si prenderà insulti e minacce? Ora, nel panico anti Trump, Bruxelles vuole tornare a parlare con la Cina
Uno dei rappresentanti diplomatici cinesi più famosi in Europa per le sue dichiarazioni da falco e il suo stile da “wolf warrior”, spudorato e incontenibile, sarà il nuovo rappresentate speciale di Pechino a Bruxelles. Lu Shaye è un volto molto conosciuto nella diplomazia europea, e per pessime ragioni. Dal 2019 allo scorso dicembre è stato ambasciatore della Repubblica popolare a Parigi, e il governo di Emmanuel Macron è stato più volte sul punto di espellerlo. Il fatto che la leadership di Xi Jinping abbia deciso di mandare proprio lui a gestire gli affari con l’Ue, per sostituire Wu Hongbo (un altro diplomatico noto per il suo stile aggressivo), è un chiaro segnale politico: nel momento in cui Bruxelles vuole ricominciare a parlare con la Cina per trovare uno scudo alla guerra commerciale di Trump, l’Ue deve accettare qualunque cosa da Pechino.
“La Crimea era storicamente russa ed è stata ceduta all’Ucraina. Tutti questi paesi dell’ex Unione sovietica non hanno uno status effettivo nel diritto internazionale, poiché non esiste un accordo internazionale che specifichi il loro status di paesi sovrani”. Nell’aprile del 2023, a poco più di un anno dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, l’ambasciatore Lu Shaye era stato molto chiaro sul posizionamento del governo che rappresentava rispetto alla guerra di Putin. Le sue dichiarazioni all’emittente francese TF1 avevano creato molti problemi in Europa. C’erano state delle proteste formali, i paesi ex sovietici avevano portato il caso al Consiglio europeo, il Parlamento aveva fatto pressioni su Macron per dichiararlo persona non grata. Lu aveva per un po’ aumentato lo scetticismo da parte dei leader europei sull’affidabilità delle relazioni con Pechino. Il giorno dopo l’intervista il ministero degli Esteri cinese aveva provato a raddrizzare il tiro: le dichiarazioni dell’ambasciatore sono affar suo, aveva fatto sapere, e “la Cina rispetta la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi”. Come ha ricordato ieri Finbarr Bermingham sul South China Morning Post, Lu Shaye, sessant’anni, originario di Nanchino e studi alla China Foreign Affairs University, è stato convocato diverse volte al Quai d’Orsay per le sue dichiarazioni. Quelle contro la gestione del Covid-19 da parte della Francia – aveva alluso al fatto che il governo francese stava abbandonando gli anziani nelle case di cura, e più volte la sua ambasciata aveva rilanciato teorie complottiste sul fatto che gli americani avessero creato il virus come arma biologica – quelle contro i politici francesi che si erano congratulati per la rielezione di Tsai Ing-wen alla presidenza di Taiwan – il deputato macronista Éric Bothorel era stato definito “un rospo” – e sempre su Taiwan, quando aveva detto che la popolazione taiwanese, “dopo la riunificazione”, avrebbe dovuto subire “una rieducazione”.
Nei due anni precedenti Lu Shaye era stato ambasciatore cinese in Canada, durante la crisi diplomatica fra Pechino e Ottawa dovuta all’arresto, da parte dei canadesi su richiesta degli Stati Uniti, della chief executive di Huawei Meng Wanzohu. Poco dopo, le autorità cinesi avevano arrestato i cittadini canadesi Michael Spavor e Michael Kovrig, e Lu era stato tra i volti più attivi nel criticare il governo di Justin Trudeau, accusando i canadesi di essere “suprematisti bianchi”, minacciando ripercussioni sul caso Meng e consigliando ai politici di smetterla di “inchinarsi ai giornalisti canadesi preoccupati per i diritti umani”.
Quella degli insulti a chi critica la Cina è uno stile diplomatico di Lu Shaye, famoso tra gli addetti ai lavori perché durante il suo periodo a Parigi aveva parole per chiunque, ma soprattutto per Antoine Bondaz, stimato analista di questioni asiatiche per il think tank Fondation pour la recherche stratégique, definito da Lu “un cane rabbioso” e “petite frappe”, tradotto in piccolo mascalzone ma più vicino a piccolo stronzo – il Global Times, quotidiano del Partito comunista cinese, aveva perfino titolato in un pensoso articolo: “L’ambasciata cinese lo chiama ‘piccolo furfante’, è sbagliato?”. Per sapienza del destino, oggi Bondaz lavora alla Commissione europea, il luogo dove Lu Shaye, nel suo nuovo incarico, si troverà spesso. Dopo la performance quadriennale a Parigi, in molti pensavano che il suo richiamo a Pechino fosse un demansionamento, ma la logica cinese sa prendere strade inaspettate.
“In un universo alternativo”, ha scritto ieri nella sua newsletter l’esperto di Cina Bill Bishop, “l’Ue e la maggior parte degli stati membri direbbero a Pechino che nessuno dei loro funzionari incontrerà Lu finché non avrà pubblicamente smentito” i suoi commenti sull’Ucraina e sui paesi ex sovietici, “ma non mi aspetto che quei funzionari facciano altro che lamentarsi in privato e accettare gli incontri”. L’altro ieri Gideon Rachman sul Financial Times ha scritto che l’Ue, spaventata dalla minaccia di Trump di perdere i mercati americani, vede il mercato cinese ancora più necessario: “Quando la settimana scorsa ho suggerito a un alto dirigente politico europeo che l’Ue avrebbe potuto prendere in considerazione l’idea di riavvicinarsi alla Cina, mi ha risposto: ‘Mi creda, questa conversazione è già in corso’”. La leadership di Pechino lo sa perfettamente, e ha mandato il suo uomo migliore, Lu Shaye.
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