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Sbilanciamento di poteri

La guerra di Trump a Fbi e Cia, senza l'opposizione del Congresso

Marco Arvati

Il tycoon intende sfoltire il personale delle agenzie di Intelligence e sostituire i membri con nomine di fiducia. Mentre i repubblicani (che controllano entrambe le Camere) stanno mettendo in difficoltà il sistema di pesi e contrappesi garantito dalla Costituzione

Dopo l’ordine esecutivo di Trump atto a ridurre il numero di dipendenti di tutte le agenzie federali, e la volontà più volte enunciata di sostituirli con nomine di fiducia, anche le agenzie di intelligence stanno venendo colpite. A tutti i dipendenti dell’Fbi è stato consegnato un questionario di 12 domande, da compilare obbligatoriamente, che verte su quale fosse il loro ruolo durante l’investigazione dell’agenzia sul fallito golpe del 6 gennaio, la più grande nella storia dell’Fbi, avendo coinvolto circa il 13 per cento dei suoi dipendenti. 

L’agenzia ha poi dovuto consegnare al dipartimento di Giustizia (Doj) i nomi di circa 5.000 agenti che hanno partecipato attivamente alle investigazioni. Questo ha generato ansia nei dipendenti, che temono il Doj voglia identificarli per licenziarli, dando quindi il via a una vera e propria purga di elementi sgraditi alla Casa bianca. Trump, infatti, graziando tutti i colpevoli di atti criminosi durante i fatti del 6 gennaio, ha di fatto squalificato tutto il lavoro di intelligence fatto negli anni, negando l’esistenza stessa di un tentato colpo di stato. Alcuni agenti hanno dato il via a un contenzioso legale per evitare che i loro nomi possano essere resi pubblici da Trump stesso: la paura è che, negli Stati Uniti fortemente polarizzati, possano diventare obiettivi di minacce da parte dei sostenitori del Presidente. 

Raccordo tra Trump e l’Fbi, e quindi persona che si sta occupando personalmente della consegna dei nomi e della verifica di compilazione dei questionari, e che ha anche direttamente licenziato sei ufficiali e trenta procuratori che hanno investigato sul 6 gennaio, è Emil Bove, un ex procuratore poi diventato avvocato personale del presidente. In questo momento, infatti, l’Fbi non ha un direttore, dato che Kash Patel, la persona nominata da Trump, sta ancora terminando le udienze in Senato per poter essere confermato. Patel è una figura controversa, che vorrebbe modificare il ruolo dell’agenzia, rendendola meno forza d’intelligence e contrasto al terrorismo e più forza dell’ordine per contrastare l’immigrazione illegale: un “ritorno a fare i poliziotti”, nelle parole di Patel stesso. Durante le audizioni al Congresso ha promesso di non voler attuare punizioni politiche verso i dipendenti: una palese bugia dato ciò che stava contestualmente avvenendo, che evidenzia come il Senato sia sempre meno un contropotere e sempre più un organo di ratifica delle decisioni prese alla Casa bianca

Nel frattempo, anche la Cia sta subendo forti pressioni: l’agenzia, per volontà esplicita del nuovo direttore, John Ratcliffe, anch’esso di piena fiducia trumpiana, si è adeguata alla richiesta dell’Ufficio del Personale federale di proporre a tutti i dipendenti la possibilità di dimissioni con effetto immediato a fronte di otto mesi di stipendio garantiti. Secondo Ratcliffe, questo servirebbe a “rispondere alle priorità di sicurezza nazionale dell’Amministrazione”. Di fatto, un implicito avviso che chi sceglierà di rimanere dovrà uniformarsi a un nuovo corso, guidato da un presidente che per anni ha criticato Langley come parte di quel “Deep state” che avrebbe avuto come unico interesse distruggerlo. Per di più, la Cia ha dovuto inviare all’Ufficio del personale anche una mail non classificata con tutti i nomi dei dipendenti assunti di recente, e quindi più facilmente licenziabili. Questa lista contiene nome e prime iniziali del cognome, ed è un palese rischio di sicurezza per le persone inserite, dato che non essendo classificata può più facilmente entrare nelle mani dello spionaggio estero.

Il congelamento di fondi federali, i licenziamenti dettati da pure motivazioni politiche, la chiusura di alcune agenzie, sono tutte aree dove il Congresso o detiene un potere diretto o comunque una supervisione sulle mosse dell’amministrazione: nonostante questo, non sta adempiendo al compito. I repubblicani, che controllano entrambe le Camere e stanno contribuendo a ratificare la nomina di persone non qualificate per la posizione per cui sono state scelte da Trump, stanno mettendo in difficoltà il sistema di pesi e contrappesi garantito dalla Costituzione. Nel 2021, il Partito repubblicano ebbe l’opportunità di votare un impeachment contro Donald Trump per i fatti del 6 gennaio, riaffermando la centralità del Congresso sulla Casa bianca: i maggiorenti del partito decisero però di non inimicarsi i cittadini leali al presidente, e la conseguenza è lo sbilanciamento dei poteri che vediamo oggi.
 

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