l'editoriale del direttore
La lotta anti woke è saggia, le imposture sono pericolose. Trump e il divieto alle trans negli sport femminili
La lotta contro il wokismo, sul trans, è diventata una battaglia per trasformare alcune categorie in persone disonorevoli, immeritevoli di empatia. Una verità oltre a quella di Navrátilová
Qual è il punto esatto in cui la lotta contro il politicamente corretto diventa una battaglia contro la libertà? Martina Navrátilová è una delle ex tenniste più famose del mondo, è stata una delle prime grandi stelle dello sport mondiale ad aver annunciato di essere lesbica e negli ultimi giorni è tornata a far parlare di sé, e a fare notizia, a seguito di un intervento fatto su un tema importante, e molto divisivo, che riguarda una scelta fatta due giorni fa da Donald Trump. Navrátilová disprezza con tutta se stessa Trump, sentimento che in buona parte ci sentiamo di condividere. Sul suo account su X ha messo in cima un post in cui definisce il presidente americano “uno stupratore e un aggressore”. Ma nonostante questo, negli ultimi giorni, Navrátilová ha scelto di ingaggiare con i suoi follower una battaglia interessante e coraggiosa per difendere una scelta fatta mercoledì scorso proprio da Trump. Trump, lo sapete, il 5 febbraio ha firmato un ordine esecutivo con cui vieta agli atleti transgender di partecipare agli sport femminili e pochi minuti dopo la notizia Navrátilová ha scritto su X di essere rammaricata per il fatto che, negli anni passati, “i democratici abbiano deluso totalmente le donne e le ragazze su un tema che dovrebbe essere molto chiaro, ovverosia che lo sport femminile debba essere riservato solo alle donne”.
Già in passato Navrátilová era intervenuta su questi temi, sfidando a duello la comunità lgbt. Lo aveva fatto denunciando il politicamente corretto delle donne, “che hanno scelto di anteporre i diritti dei transgender agli stessi diritti delle donne” e ricordando che la sua battaglia “non è contro le atlete trans ma è contro i corpi maschili che competono come donne, se si identificano come donne”. Dietro la scelta fatta da Trump sulla partecipazione dei trans alle competizioni femminili vi è però un tema ulteriore che riguarda la domanda da cui siamo partiti.
Come capita spesso a Trump, le battaglie contro l’estremismo wokista sono battaglie il cui fine non è l’affermazione di una nuova libertà. Il fine è un altro ed è un fine in cui la storia della persona c’entra più della storia dell’atleta. L’ordine esecutivo di Trump ha compiuto passi in avanti per provare a trasformare l’immagine del trans non in un problema del mondo sportivo ma in un nuovo simbolo di ciò che può essere considerato come una nuova forma di nemico assoluto. L’ordine esecutivo che smantella le iniziative governative sulla diversità, l’equità e l’inclusione oltre ad alcune misure di buon senso contiene norme che cancellano ogni forma di tutela contro la discriminazione sessuale. E alcuni degli ordini esecutivi su questa materia hanno avuto effetti estremi.
L’esercito ha sospeso le reclute transgender, una tirocinante transgender è stata rimossa da una caserma, alcuni ospedali hanno annullato interventi chirurgici per pazienti maggiorenni transgender, altri ospedali hanno respinto nuovi pazienti per paura di perdere i finanziamenti, alcune prigioni hanno avviato il processo di trasferimento dei detenuti transgender dalle strutture femminili a quelle maschili. Il Washington Post, giornale edito da Jeff Bezos, non pregiudizialmente anti trumpiano, ha messo in luce la presenza di un piano inclinato, su questi temi, all’interno del quale la lotta contro il wokismo, sul trans, è diventata una battaglia per trasformare alcune categorie in persone disonorevoli, immeritevoli di empatia.
Ricorda sempre il Washington Post che Hannah Arendt una volta osservò: “La morte dell’empatia umana è uno dei primi e più rivelatori segnali di una cultura che sta per sprofondare nella barbarie”. Qual è il punto esatto in cui la lotta sacrosanta contro il politicamente corretto diventa improvvisamente una battaglia contro la libertà? Una risposta potrebbe essere questa: quando la lotta contro il politicamente corretto diventa un mezzo come un altro per creare un bersaglio su cui fissare l’immagine perfetta di un nuovo nemico del popolo. La lotta contro il wokismo è saggia. Le imposture sono pericolose. Vigilare e non farsi incantare.
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