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Il colloquio

Senza UsAid, l'America è più debole, ci dice Ian Bremmer

Giulio Silvano

Da lunedì, saranno tagliati del 97 per cento i dipendenti dell’agenzia indipendente che sponsorizza progetti umanitari in tutto il mondo: “Distruggerla crea un vuoto geopolitico che gli avversari degli Stati Uniti, in particolare la Cina, sono felicissimi di riempire”. Intervista al fondatore dell’Eurasia Group

Elon Musk ha promesso con il suo pseudo-dipartimento, il Doge, di tagliare a le spese governative americane. Ha iniziato dalla United States Agency for International Development (UsAid), agenzia indipendente che sponsorizza progetti umanitari in tutto il mondo, grande strumento di soft power dai tempi di John F Kennedy, che la fondò anche per promuovere la democrazia. Da lunedì i dipendenti dell’UsAid saranno tagliati del 97 per cento.

 

                       

Musk e la Casa Bianca condividono menzogne su milioni dei contribuenti spesi per preservativi a Gaza e dati ad attori di Hollywood per rendere il presidente ucraino Zelensky una figura più amichevole. Ma perché prendersela tanto con l’UsAid? “Sicuramente è un bersaglio facile per il pubblico di ‘America first’”, ci dice il fondatore dell’Eurasia Group, lo scienziato politico Ian Bremmer, che involontariamente suggerì proprio a Trump quello slogan.

“Gli aiuti ai paesi esteri sono malvisti dal pubblico americano, e tagliarli era una promessa chiave della campagna di Trump. In un momento in cui il deficit e il debito sono alti e molti americani faticano con i costi della sanità, della casa e dell’istruzione, chiedere ‘perché mandiamo soldi fuori quando abbiamo dei problemi qui?’ ha un appeal emotivo naturale”. L’UsAid però è meno dell’1 percento del budget federale. E infatti, continua Bremmer, “l’UsAid è anche un bersaglio da usare come test per il Doge e per il suo metodo ‘va veloce e spacca tutto’ prima di spostarsi verso cose più dure da rompere, come il sistema previdenziale e Medicare, dove ci sono i veri soldi”. 

Tagliare i programmi umanitari è pericoloso, sia per i paesi che ricevono aiuto, sia per gli Stati Uniti. “E’ un taglio basato sulla disinformazione e  su una totale incomprensione dei vantaggi per gli interessi americani degli aiuti ad altri paesi. Distruggere l’UsAid crea un vuoto geopolitico che gli avversari degli Stati Uniti, in particolare la Cina, sono felicissimi di riempire. L’assistenza a nazioni straniere non è solo una questione di beneficenza, ma di influenza strategica”. Fin da quando Kennedy l’ha fondato, “è stato lo strumento primario per influenzare istituzioni militari, politiche, umanitarie ed economiche all’estero. Aiutando la società civile nei paesi in via di sviluppo, rafforzando la democrazia, riducendo la povertà, arginando le malattie, combattendo il terrorismo, l’UsAid riduce i rischi di instabilità globale e che potrebbero riecheggiare a casa nostra. Smantellando questa struttura non stiamo solo facendo del male a milioni di persone nei loro paesi, ma stiamo indebolendo i nostri interessi economici e di sicurezza nazionale”. Non sembra valerne la pena. “Soprattutto”, ci dice Bremmer, “se è per risparmiare 50 miliardi di dollari da un budget di 7 triliardi con un deficit di 2 miliardi, serve giusto per fare spazio ai 400 milioni di tagli alle tasse per i ricchi e per le aziende che questa Amministrazione vuole rendere permanenti”

Alcuni però stanno facendo notare che qualche spreco dentro agenzie del genere c’è, e che una ristrutturazione è utile. “Nessuno dice che l’UsAid non potrebbe spendere i soldi in modo più efficiente. Come tutte le grosse burocrazie potrebbe beneficiare da una riforma, e si può essere in disaccordo sulle finalità di alcuni programmi specifici. Ma dobbiamo essere chiari: Musk non ha trovato una singola frode nell’UsAid nonostante le sue calunnie. Buttare il bambino con l’acqua sporca in un momento di crescente disordine globale equivale a un disarmo unilaterale. L’aveva detto bene Ronald Reagan: ‘Sapete quali sono le solite scuse? Non possiamo permetterci di aiutare gli altri paesi, stiamo sprecando soldi in paesi poveri, non possiamo comprarci degli amici… be’, queste scuse sono esattamente questo: nient’altro che scuse”. Ci sono paesi più a rischio di altri se salta l’UsAid? “Chi soffrirà di più sarà l’Africa subsahariana. E ministri di grosse nazioni africane stanno già contattando la controparte cinese per rimpiazzare i programmi americani. E poi preoccupano Haiti, l’Afghanistan e l’Ucraina. Lì sta continuando l’aiuto militare, ma tutti i fondi per sviluppo economico, infrastrutture, promozione della democrazia e ospedali sono stati tagliati. Quando ce ne andiamo di colpo non lasciamo solo un buco umanitario, ma potenzialmente stiamo destabilizzando intere regioni, e questo ci tornerà indietro con un aumento dell’immigrazione, pandemie, rischi terroristici, conflitti potenziali e un sacco di opportunità di scambi commerciali buttate via. Non è una questione di altruismo, ma di illuminato interesse personale”. 

Il paese che per un secolo ha giocato sul soft power sta perdendo la sua arma più potente. “Musk e Trump credono soprattutto nell’hard power, che ironicamente è un approccio per tradizione più cinese. Hanno una strategia molto più commerciale, unilaterale e senza valori e che prova a massimizzare sui guadagni a breve termine usando un puro potere economico e militare”, continua Bremmer, “senza comprendere che le relazioni internazionali sono un gioco che si ripete e che la vera influenza globale richiede persuasione e convincimento oltre alla coercizione. Anche la Cina l’ha capito, e sta copiando le strategie di soft power americano dopo aver visto i suoi vantaggi. Trump e Musk stanno facendo un gioco che sembra una vittoria sul momento, ma che minerà lo status globale americano a lungo termine”. 
 

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