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Donald Trump (Ansa)
Tre lezioni
Solo i mercati possono dissuadere Trump sui dazi, e lo hanno già fatto
Con Messico e Canada il presidente americano è più cauto perché teme i danni collaterali delle tariffe sull'economia del paese. Anticipare le sue mosse è difficile, ma è fondamentale capire il modo in cui ragiona e quali sono le sue priorità per studiare delle contromosse
Sono bastate a Trump solo un paio di settimane per mettere a soqquadro il sistema delle relazioni economiche internazionali. Oltre a uscire da alcuni accordi multilaterali, come quelli di Parigi sul clima e dell’Ocse sulla tassazione, il neopresidente ha sospeso gli aiuti ai paesi in via di sviluppo e minacciato dazi nei confronti del Messico e del Canada, per poi sospenderli almeno temporaneamente. Li ha invece aumentati alla Cina, che ha prontamente replicato con misure ritorsive. Anticipare le prossime mosse di Trump è un esercizio particolarmente difficile, data la sua (voluta) imprevedibilità. E’ invece essenziale capire il modo in cui ragiona e quali sono le sue priorità, al fine di studiare le contromosse. Il punto di partenza è la profonda convinzione di Trump che il resto del mondo – dal Canada al Messico, dall’Europa alla Cina – si approfitti ingiustamente degli Stati Uniti.
In almeno due modi. Il primo è attraverso le politiche distorsive per sussidiare le esportazioni verso gli Stati Uniti. Lo dimostrano sia l’ampio disavanzo commerciale americano sia i casi specifici di dazi europei sulle importazioni di auto o di prodotti agricoli da oltreoceano. Il secondo è la facilità con cui gli stranieri possono entrare negli Stati Uniti, iscriversi al sistema di assistenza sociale (social security), aprire un conto bancario, anche senza carta d’identità, e beneficiare del sistema di welfare senza pagare le tasse. In sintesi, l’America è troppo aperta e troppo generosa nei confronti del resto del mondo ed è venuto il momento di cambiare. Si può pensare quello che si vuole di tali argomenti, ma riflettono il modo di pensare non solo di Trump ma anche degli elettori che lo hanno votato, convinti che i loro problemi – come i salari troppo bassi, l’inflazione o l’insicurezza – derivano principalmente da fattori esterni agli Stati Uniti, di cui non sono direttamente responsabili.
Non è molto diverso da quanto avviene nei paesi europei, dove spesso le colpe di tutti i problemi vengono scaricate sull’immigrazione o sull’Europa. Identificare un nemico esterno e promettere la chiusura del paese sembra essere un buon modo per vincere le elezioni, non solo negli Stati Uniti. Pensare di far cambiare idea a Trump o convincerlo a rinunciare alle sue politiche rischia di essere una perdita di tempo. L’unico motivo per cui potrebbe tornare sulle sue decisioni sarebbe nel caso in cui emergessero danni collaterali che, dal suo punto di vista, sarebbero politicamente molto costosi.
Il danno più evidente prodotto dai dazi commerciali e dal blocco dell’immigrazione è il rallentamento dell’economia americana o addirittura una recessione. Su questo si sono espressi in molti, non ultimi Phil Gramm e Larry Summers in una lettera bipartisan al Wall Street Journal, con cui hanno accusato Trump di condurre “la più stupida guerra commerciale della storia”. Tutto ciò non è però servito a molto.
Diversa invece è stata la reazione di Trump al modo in cui i mercati finanziari hanno recepito l’annuncio dei dazi. In pochi minuti, il 3 febbraio scorso, le quotazioni azionarie sono crollate di quasi il 5 per cento, i tassi a lungo termine sono scesi di circa 20 punti, segnalando aspettative di forte rallentamento economico e il dollaro si è apprezzato, peggiorando la competitività dei prodotti americani.
Alla luce di questi sviluppi, l’Amministrazione americana ha deciso di sospendere le misure nei confronti del Messico e del Canada, con la motivazione che era stato raggiunto un accordo per limitare l’immigrazione.
In sintesi, anche nel paese più potente al mondo, la politica non può ignorare i mercati finanziari. Il motivo è semplice. I risparmi dei cittadini americani, in particolare quelli per le loro pensioni – i cosiddetti piani 401(k) – sono investiti in larga parte in Borsa. Se i mercati ritengono che i dazi siano nocivi nel lungo periodo per le aziende americane, i titoli azionari calano, penalizzando i risparmi dei cittadini.
Vedremo come si comporterà Trump nelle prossime settimane. Ma da questo episodio si possono trarre almeno tre lezioni. La prima è che Trump non può permettersi di adottare misure che, direttamente o attraverso eventuali ritorsioni degli altri paesi, penalizzino i corsi azionari delle aziende americane. La seconda lezione è che Trump ha bisogno di vie di uscita politicamente accettabili per i propri voltafaccia. La terza lezione è per l’Europa: se si vuole interagire con Trump, bisogna avere pronta non solo la carota, ma anche il bastone.
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