(foto EPA)

soundcheck

Ricostruire Gaza sarà proibitivo. Un fondo di verità nelle parole di Trump

Lorenzo Borga

Per quanto irricevibili, le parole del presidente americano illuminano un problema: la ricostruzione della Striscia sarà molto più ardua se i più di 2 milioni di palestinesi continueranno a vivere nei luoghi dei bombardamenti. Il paragone (che non regge) con Dresda

Per quanto irricevibili per chiunque al di fuori della destra israeliana, le proposte di Donald Trump sull’evacuazione della Striscia di Gaza nascondono una base di verità. La ricostruzione sarà molto più ardua se i più di 2 milioni di palestinesi continueranno a vivere nei luoghi dei bombardamenti senza poter uscire dalla Striscia. La devastazione seguita ai bombardamenti è senza precedenti. Secondo i dati rilevati da Unosat, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’analisi satellitare, a dicembre erano quasi 171 mila gli edifici distrutti o gravemente danneggiati. Si tratta del 69 per cento di tutti gli uffici, i negozi, le case presenti nell’area. Per avere un ordine di paragone, nell’agosto del 2014 al termine della campagna militare israeliana “Margine di protezione” gli edifici inagibili erano 10.326. Se consideriamo le sole abitazioni civili, nove su dieci sono state danneggiate. Sono impraticabili il 68 per cento delle strade – un fatto che complica non poco oggi la movimentazione dei camion degli aiuti, e lo stesso accadrà quando a percorrerle saranno i bulldozer e le ruspe – e la stessa percentuale di campi coltivabili non risulta essere più fertile.

 

Sul terreno oggi si stima ci siano più di 50 milioni di tonnellate di macerie, più di quante prodotte da tutti i conflitti israelo-palestinesi dal 2008 al 2023 sommati. Come se l’intera Grande Muraglia cinese si fosse sgretolata di colpo. Con tutti i detriti si potrebbe riempire una fila di camion lunga da New York a Singapore. La prima fase della ricostruzione richiederà dunque di rimuovere tutte queste macerie. Secondo le Nazioni Unite per riuscirci potrebbero servire fino a 21 anni (dipende dal numero di camion che sarebbero impiegati), per un costo superiore al miliardo di dollari. Le operazioni saranno complicate dai numerosi ordigni inesplosi rimasti sotto le macerie, dall’ingente presenza di amianto e dagli oltre 10 mila cadaveri che si stima si trovino sepolti sotto i detriti.

 

Oltre ai tempi a preoccupare sono anche i costi. Una previsione aggiornata non esiste: dopo quattro mesi di conflitto, la Banca Mondiale aveva stimato la spesa necessaria in oltre 18 miliardi di dollari. Da allora è con ogni probabilità più che raddoppiata. Non si riesce ancora a immaginare chi possa coordinare la spesa di una tale somma di denaro, per evitare che finisca nelle mani di Hamas. “Ciò che è accaduto a Gaza è qualcosa che non è mai avvenuto nella storia dell’urbanistica” ha detto a Bloomberg Mark Jarzombek, storico dell’architettura al Mit di Boston che ha studiato la ricostruzione tedesca dopo la Seconda guerra mondiale. “Il costo del ripristino delle infrastrutture e delle case sarà proibitivo, e richiederà l’evacuazione della popolazione causando nuovi sfollati. La popolazione di Gaza dovrà fare i conti con le macerie per generazioni”.

 

Dresda è stata ricostruita dopo il 1945 grazie all’impiego della stessa popolazione civile che ha rimosso le macerie. Le fotografie di quelle che sono passate alla storia come le “Trümmerfrauen” sono negli occhi di tutti i tedeschi. Ma all’epoca gli edifici erano in mattoni e legname, facilmente rimovibili perfino con una semplice carriola. Le operazioni hanno comunque richiesto quasi due decenni, mentre la ricostruzione è durata fino agli anni 90. A Gaza invece le abitazioni sono in cemento armato, che si sgretola in blocchi impossibili da trasportare senza l’impiego di mezzi speciali. In Germania d’altronde la popolazione civile è stata evacuata al di fuori dei centri urbani durante la ricostruzione. Attorno a Dresda sono sorti i palazzi prefabbricati tipicamente sovietici per ospitare la popolazione sfollata. Nella Striscia tale soluzione oggi appare impossibile.

 

La Striscia di Gaza è la quarta regione più densamente popolata del mondo. Oltre due milioni di persone vivono in 360 chilometri quadrati. Un’area nove volte più piccola della Valle D’Aosta. Quasi quattro volte più ridotta del comune di Roma. Ricostruire la Striscia sarà un’opera proibitiva, soprattutto se la popolazione civile dovrà convivere con i cantieri. Un’alternativa all’evacuazione completa, che appare insostenibile dal punto di vista umanitario e politico, sarà la ricostruzione per gradi partendo da Gaza City a nord che ha subito i danni maggiori.

Due oggi sono le certezze. Primo, i palestinesi continueranno a convivere per i prossimi decenni con  la devastazione prodotta dai bombardamenti israeliani. Secondo, gestire le conseguenze di ciò come fosse un “affare immobiliare” – come sostenuto da Trump – non può che generare altri danni, come ricordava all’attuale presidente un candidato repubblicano alle primarie del 2016 durante un dibattito televisivo. Quel candidato era Marco Rubio.

Di più su questi argomenti: