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Cosa vuole mostrare Putin portando Xi in Piazza Rossa
Il leader cinese andrà a Mosca per la parata del Giorno della vittoria. Più che la telefonota con Trump, al capo del Cremlino interessa sottolineare il suo rapporto con Pechino
Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ieri aveva una notizia che voleva diffondere a ogni costo, senza dare risalto alle telefonate nascoste tra il presidente americano Donald Trump e il leader russo, Vladimir Putin. A Peskov premeva molto far sapere che il prossimo 9 maggio, per gli ottant’anni della vittoria contro la Germania nazista, sarà a Mosca il leader cinese Xi Jinping. Il 9 maggio la Russia celebra la fine della Seconda guerra mondiale, che per i russi ha un nome unico che non si usa in nessun altro posto: Grande guerra patriottica. Per Mosca, il Secondo conflitto mondiale è passato alla storia come un evento non tanto che ha ridefinito gli equilibri globali, ma come una questione patriottica, che riguarda la Russia in primo luogo. Poi gli altri.
Un tempo il 9 maggio era il giorno in cui mostrare dagli spalti affacciati sulla sfilata militare nella Piazza Rossa le alleanze di Mosca. Da quando l’esercito russo ha attaccato l’Ucraina, la presenza internazionale si è ridotta, e se prima anche i presidenti americani erano andati a osservare la parata di carri armati e aerei russi, negli ultimi due anni a tenere compagnia a Putin erano rimasti soprattutto i leader di Bielorussia, Kazakistan, Armenia, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, i suoi alleati dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva. La presenza di Xi Jinping a un evento che a livello simbolico vuole dire molto per Mosca è un segnale schietto. Xi Jinping aveva partecipato alla parata nel 2015, da allora l’alleanza tra Mosca e Pechino si è fatta più stretta e necessaria. Peskov ha detto: queste date “fungono da promemoria di eventi storici chiave, dei contributi dei nostri paesi alla lotta contro il nazismo e dello stato delle nostre relazioni bilaterali”. Oltre a Xi, potrebbero andare a Mosca il presidente serbo Aleksandar Vucic, il leader dell’Autorità nazionale Mahmoud Abbas, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e, come unico europeo desideroso di rendere omaggio all’esercito russo, il primo ministro slovacco Robert Fico. In tutto questo grande fermento organizzativo, Peskov ha riservato poco tempo al commento dei rapporti diplomatici di tutt’altro genere e riguardo ai contatti fra Trump a Putin si è limitato a dire: “Non confermo e non smentisco”.
A novembre dello scorso anno, una fonte aveva raccontato al Washington Post che il leader del Partito repubblicano, fresco di riconferma, si era sentito al telefono con Vladimir Putin. Il Cremlino all’epoca aveva smentito, dalla squadra di Trump invece non erano arrivate comunicazioni ufficiali. La fonte aveva elencato al Washington Post alcuni argomenti della conversazione, primo fra tutti il consiglio di Trump mai seguìto da Putin di non rendere ancora più duro il conflitto contro Kyiv. Il conflitto è andato invece avanti durissimo, nel frattempo l’ex presidente si è insediato di nuovo alla Casa Bianca e con i suoi collaboratori non fa che parlare della necessità di portare a termine la guerra in Ucraina. La scorsa settimana dall’Amministrazione americana era arrivata la conferma di comunicazioni incessanti con Mosca e il Cremlino non ha smentito. Se a novembre Putin voleva mostrare di essere corteggiato e cercato, ora invece vuole far emergere l’idea di un rapporto con Washington che va ben oltre l’immaginazione e ben oltre il desiderio di Kyiv. Il capo del Cremlino ha tifato per Trump, ritiene il presidente americano manipolabile, il giorno della sua rielezione il Primo canale della televisione di stato aveva mandato in onda le foto di Melania, la moglie di Trump, nuda, e l’intento era deridere il prossimo presidente americano. L’inviato speciale americano per l’Ucraina e la Russia Keith Kellogg questa settimana sarà a Monaco alla Conferenza sulla sicurezza e nessuno sa se quando incontrerà il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avrà in tasca davvero il Piano di pace promesso dall’Amministrazione americana. Mosca e Washington hanno fatto sapere di essere al lavoro per un incontro di Trump con Putin, e Kyiv, come le capitali europee, ha notato che al tavolo mancherebbe più di una parte in causa importante: sia il presidente ucraino sia i leader europei. Se c’è un solo punto chiaro del possibile piano trumpiano per la fine della guerra in Ucraina è che dovranno essere gli europei a prendere degli impegni seri per il futuro della sicurezza ucraina e non si può non coinvolgerli in sede negoziale. Putin ha definito gli europei “cagnolini al guinzaglio” degli Stati Uniti: l’espressione è piaciuta al capo della Casa Bianca, che l’ha rilanciata sulle piattaforme social.
La possibilità di una conversazione telefonica fra Trump e Putin – di cui neppure il presidente americano ha voluto svelare il contenuto – è stata commentata anche dalla stampa russa con una serie di perifrasi per dare la giusta sfumatura di mistero. Un punto però era chiaro e i giornali erano tutti concordi nel dire: Mosca è sempre stata disposta a negoziare, ma alle sue condizioni. E’ cambiato poco, in fatto di disponibilità a trattare, dal 24 febbraio del 2022.