Giovanni Caravelli, direttore dell'Aise (foto LaPresse)

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Il viaggio di Caravelli in Libia per evitare all'Italia altri casi Almasri

Luca Gambardella

Il capo dell’Aise va a Tripoli. Tema: i nomi segreti dei ricercati libici dalla Corte penale internazionale. L'Italia assicura che non saranno arrestati sul suo territorio. Oggi l'audizione al Copasir

Lo scorso 28 gennaio il capo dell’Aise, Giovanni Caravelli, è volato a Tripoli per un importante incontro segreto con i vertici del governo libico. Secondo fonti sentite dal Foglio, lo scopo della visita lampo è stato escogitare un piano per evitare nuovi episodi imbarazzanti come quello che il mese scorso ha portato all’arresto e alla scarcerazione immediata di Osama al Najem “Almasri”, capo della polizia penitenziaria di Mitiga. Caravelli ha incontrato il premier libico Abdulhamid Dabaiba e il procuratore capo di Tripoli, al Sidiq al Sour, con i quali si è confrontato sui nominativi riservati di alcuni dei libici su cui la Corte penale internazionale ha emanato un mandato d’arresto. Il capo dell’Aise ha informato chi di questi potrà viaggiare in Italia in futuro senza il rischio di essere arrestato. 

Come svelato dal Foglio lo scorso 27 gennaio, dopo il caso Almasri il tribunale dell’Aia ha emanato altri 86 mandati d’arresto, tutti riservati, contro altrettanti leader e comandanti di milizie libiche. La decisione dei giudici di non rendere pubblici i nominativi ha lo scopo di facilitare l’arresto dei ricercati, sfruttando l’effetto sorpresa. La mossa si era già rivelata efficace con Almasri, che non era a conoscenza di essere destinatario di un mandato d’arresto e che era stato identificato e fermato dalla Digos a Torino lo scorso 19 gennaio. 

Il fatto che il capo dei nostri servizi segreti esterni riveli questi nomi alle autorità libiche garantendo loro libertà di movimento in caso di futuri viaggi in Italia è da annoverare tra le svariate cortesie fatte dal nostro paese al governo libico. Per molti di questi personaggi, spostarsi fuori dalla Libia è vitale per gestire le proprie attività finanziare all’estero. Per l’Italia invece è un modo per scongiurare nuovi pasticci internazionali, con arresti – e annesse scarcerazioni – difficili da gestire, sia a livello politico sia a livello mediatico. Sul fronte internazionale, il disvelamento del segreto può complicare ulteriormente le  relazioni fra l’Italia e la Corte dell’Aia. La procura della Cpi, tra l’altro, sta già valutando la denuncia presentata da un rifugiato sudanese contro il nostro governo per il mancato arresto di Almasri.  

Il contesto temporale del viaggio di Caravelli in Libia si inscrive nel pieno della guerra in corso tra magistratura e servizi segreti su diversi dossier e dimostra che il governo italiano si è attivato per evitare ulteriori incidenti. Il 28 gennaio era il giorno in cui Giorgia Meloni ha comunicato pubblicamente con un video sui social l’avvio di un’indagine su di lei e sui ministri Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e sul sottosegretario Alfredo Mantovano da parte del procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi. Il giorno successivo invece, il 29, era quello in cui si sarebbe dovuta tenere l’informativa di Nordio e Piantedosi in Parlamento, informativa poi rinviata proprio a seguito della notifica dell’avvio delle indagini a loro carico.

La notizia del blitz a Tripoli trova alcuni riscontri grazie a un’altra testimonianza, più generica, emersa di recente. L’attivista libico Husam el Gomati ha confermato alla trasmissione “Piazzapulita” su La7 che, nei giorni successivi al rientro di Almasri all’aeroporto di Tripoli Mitiga a bordo di un volo dei nostri servizi segreti, “un alto funzionario dell’intelligence italiana ha visitato la Libia”. Il nome di El Gomati è comparso su molti giornali italiani e internazionali perché risulta fra gli intercettati dallo spyware “Graphite” prodotto dalla società israeliana Paragon Solutions e venduto, tra gli altri, anche al governo italiano. Secondo l’accusa (che non ha però alcun riscontro fattuale) affidata la settimana scorsa dall’attivista alle colonne del Guardian, sarebbero stati i servizi segreti italiani a lanciare l’attacco informatico nei suoi confronti, come ritorsione per la pubblicazione su Telegram di alcuni documenti che dimostrerebbero, a suo dire, la collaborazione tra Italia e Libia sui respingimenti dei migranti. Molti di questi documenti, per la verità, sarebbero di dubbia rilevanza e insufficienti a dimostrare l’esistenza di accordi illeciti sulla gestione dei migranti da parte dei due governi. El Gomati ha pubblicato le foto di alcuni passaporti scaduti appartenenti a presunti agenti dei servizi segreti italiani e, fra questi, anche allo stesso Caravelli. Ma al di là dei leak, resta la questione dell’utilizzo dello spyware per colpire giornalisti e attivisti, tra cui El Gomati. Per il prefetto a capo dell’Aise si preannunciano giornate intense: oggi alle 14.30 sarà ascoltato al Copasir sul caso Paragon, ma poi potrebbe essere chiamato a dare spiegazioni anche sugli strascichi del caso Almasri e sulla gestione del dossier libico.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.