prospettive
La Cina è l'unica vincitrice nella chiusura di UsAid di Trump
Pechino è già pronta a guadagnare influenza dopo il congelamento degli aiuti all'estero da parte dell'Amministrazione americana. Waltz nega, ma i dati ci dicono altro
Con il congelamento di tutti gli aiuti internazionali e i programmi UsAid da parte della nuova Amministrazione Trump, l’America ha sospeso l’erogazione di fondi anche a decine di ong e associazioni che fra Taiwan, Hong Kong e in tutta l’Asia cercavano di sostenere lo svolgimento di elezioni libere e un’informazione indipendente, di proteggere i diritti umani e in generale lo stato di diritto, tutto ciò che il regime autoritario di Pechino cerca di cancellare. Per molti anni abbiamo pensato che nella gara d’influenza sul resto del mondo l’America fosse in grande vantaggio rispetto alla Cina: “Ma adesso è cambiato tutto”, dice al Foglio Yanzhong Huang, senior fellow al Council on Foreign Relations.
Nei giorni scorsi il consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump, Mike Waltz, ha risposto a chi diceva che il congelamento di UsAid avrebbe avvantaggiato paesi autoritari come la Repubblica popolare cinese e la Russia, semplicemente negando: “Troppo spesso queste missioni e questi programmi non rispondono agli interessi strategici degli Stati Uniti, per esempio nella competizione con la Cina”. Ma gli esperti (e i fatti) dicono che ritirarsi all’improvviso, smantellare una rete da un giorno all’altro, ha un effetto peggiore: “UsAid fa molte cose, è un grande attore che fornisce gli aiuti all’estero proiettando il nostro soft power. La sua chiusura non solo comprometterà il nostro sforzo di proiettare il nostro soft power a livello internazionale, ma darà alla Cina l’opportunità di rivendicare una leadership globale per aumentare il suo potere a livello internazionale”, spiega Yanzhong Huang. Glielo abbiamo visto fare già diverse volte, per esempio “con la Via della seta oppure con la diplomazia dei vaccini. Gli sforzi di Pechino sono molteplici, con risultati diversi”. Non sempre efficaci – per esempio la Via della seta sanitaria, tra mascherine difettose, respiratori non tutti funzionanti e vaccini non adeguatamente testati la gara è stata più d’immagine che di aiuto concreto.
Ma bisogna pensare che anche l’investimento cinese varia a seconda della regione, spiega Huang: “Per esempio, la Cina ha già successo nei paesi in via di sviluppo più di noi e dell’Europa. Sta già facendo breccia nel sud-est asiatico, e basta guardare ai sondaggi d’opinione, perché in caso di conflitto fra America e Cina almeno la metà degli interpellati di quella regione dice che starebbe con la Cina”. Ci sono dei vuoti che ogni volta che si creano la leadership di Pechino è pronta a colmare, e ci sono diverse attività dei paesi occidentali che non vede l’ora di cancellare. La giornalista Bethany Allen su The Strategist ha scritto qualche giorno fa che il congelamento di UsAid è una condanna a morte pure per tutte quelle associazioni e ong che si occupano di sostenere la resistenza contro l’autoritarismo di Pechino, e che allo stesso tempo rappresentano l’unica vera fonte di informazioni dentro ai confini cinesi. Ma è sull’influenza fuori dai confini nazionali che la Cina punta di più: già nel 2018, spiega al Foglio Huang, la Repubblica popolare ha creato ChinaAid, un’agenzia spin off del ministero del Commercio per erogare prestiti agevolati e finanziamenti, però con un budget e uno staff limitati. “Sono molto bravi a emulare, per esempio anche il loro Cdc (Center for Disease Control and Prevention) è uguale a quello americano”. Per il momento, dice Huang, “non è chiaro se la mossa americana sul lungo periodo dia davvero l’opportunità alla Cina di espandersi e incrementare il loro ruolo internazionale”, ma che ci proverà, almeno per una questione estetica, “questo è certo”. Magari espandendo il modello di ChinaAid, che opera in modo diverso da UsAid perché lavora direttamente con i governi, guadagnando sostegno diretto politico – a Pechino non interessa l’approvazione della società, interessa l’influenza. George Ingram, senior fellow del Centro per lo sviluppo sostenibile della Brookings Institution ed ex funzionario dell’UsAid, ha spiegato al Guardian che la più grande preoccupazione riguardo alla Cina che si trasforma nel principale attore dello sviluppo globale è il metodo cinese, completamente diverso dal modello di sviluppo occidentale, perfezionato negli anni e dalle lezioni apprese dagli errori del passato: la Cina, ha detto Ingram, “spesso corrode il buon governo e la responsabilità del paese in cui opera. Non ho alcun problema con il fatto che un paese diventi attore dello sviluppo... è una cosa meravigliosa. Ma il modo in cui la Cina promuove i suoi aiuti può avere una sorta di effetto corruttivo”.
Tensioni e assenze