“Ero in un lago di sangue, il mio”. Le parole di Rushdie di fronte al suo aggressore

La testimonianza dello scrittore in tribunale. Gli avvocati della difesa gli hanno fatto domande sui suoi buchi di memoria e gli hanno chiesto di ricordare quante volte fosse stato colpito. Ha risposto: “Non stavo tenendo i conti in quel momento. Ero occupato, ma dopo ho potuto vederli sul mio corpo. Non avevo bisogno che qualcuno me lo dicesse”

Salman Rushdie martedì ha testimoniato al processo contro l’uomo che ha tentato di ucciderlo, Hadi Matar: ha raccontato nei minimi dettagli l’aggressione con coltello di quel giorno, il 12 agosto 2022 a una conferenza alla Chautauqua Institution di New York. “Prima che potessimo iniziare la conversazione, mi sono accorto di questa persona che si stava precipitando verso di me da destra”, ha detto lo scrittore. “L’ho visto solo all’ultimo momento. Mi sono accorto di qualcuno che indossava abiti neri, o scuri. Sono rimasto molto colpito dai suoi occhi”, che erano scuri e “sembravano molto feroci”. Tutto è successo molto velocemente, dice. “Inizialmente mi ha colpito molto forte. Pensavo che mi stesse colpendo con un pugno, ma ho visto una grande quantità di sangue riversarsi sui miei vestiti. Mi colpiva ripetutamente con colpi e fendenti”.

  

“Mentre lottavo per allontanarmi da lui sono stato colpito più volte sul petto e sul torso e intorno alla vita”, ha raccontato. Rushdie ricorda a un certo punto di aver alzato la mano per legittima difesa. È stato accoltellato anche lì: “Ha reciso tutti i tendini delle mani e la maggior parte dei nervi”. “Poi ci sono stati diversi colpi al petto e al torso. Tre coltellate al centro del petto”, ha detto, aveva ferite anche nella zona della vita.

 

Mentre era sdraiato sul palco, Rushdie ha ricordato “un senso di grande dolore e choc e la consapevolezza del fatto che fossi immerso in un’enorme quantità di sangue”: un lago di sangue, il mio. “Era stata una pugnalata all’occhio, intensamente dolorosa, urlavo per il dolore e non riuscivo più a vedere nulla”, ha detto Rushdie. “La cosa più dolorosa è stata proprio la ferita all’occhio destro che mi ha lasciato cieco”. Si toglie gli occhiali che gli nascondono l’occhio destro con una lente scura: “Questo è ciò che rimane, non vedo più nulla”.

 

“Ho pensato che stessi morendo. Questo è stato il mio pensiero predominante”. Rushdie ha dichiarato di essere stato nuovamente colpito al petto e al torso e pugnalato al petto mentre cercava di liberarsi. “Ero ferito molto gravemente. Non riuscivo più a stare in piedi. Sono caduto”. Alla sua destra si era accorto di “un piccolo gruppo di persone” che si erano scagliate contro l’aggressore. “Grazie a questo credo di essere sopravvissuto”.

 

Gli avvocati della difesa hanno fatto allo scrittore alcune domande sui suoi buchi di memoria, sul suo stato di coscienza dopo l’attacco chiedendogli se fosse consapevole di ciò che stava accadendo intorno a lui. Rushdie ha ammesso di aver avuto un falso ricordo, di aver pensato di essersi alzato in piedi quando ha visto l’aggressore avvicinarsi, ma non era vero. L’avvocato di Matar, Lynn Shaffer, gli ha chiesto di ricordare quante volte fosse stato colpito, Rushdie ha risposto: “Non stavo tenendo i conti in quel momento. Ero occupato, ma dopo ho potuto vederli sul mio corpo. Non avevo bisogno che qualcuno me lo dicesse”.

    

Rushdie ha detto non essere più “così energico come una volta”. “Penso di non essere ancora al 100 per cento. Penso di essermi ripreso sostanzialmente, ma probabilmente è al 75-80 per cento, non sono più così forte fisicamente come una volta”.

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