Javier Milei (Ansa) 

I dazi di Trump colpiranno l'Argentina non malgrado Milei, ma proprio per via di Milei

Maurizio Stefanini

"Ci fanno pagare molto di più di quanto facciamo pagare noi a loro, ma quei giorni sono finiti", ha detto il presidente americano. Milei punta a un accordo di libero scambio e la settimana prossima ne parlerà a Trump alla Conservative Political Action Conference

Potrebbe essere l’Argentina di Javier Milei una delle principali vittime dei dazi di Trump. Paradosso, ma solo fino a un certo punto. Da una parte, infatti, già nel suo primo mandato il tycoon aveva dimostrato di non avere la minima discriminante ideologica, colpendo anche il Brasile di Bolsonaro con le sue guerre commerciali. Dall’altra, Milei ha una retorica di contrapposizione alla sinistra in senso lato che poi tende a superare quelle che sono altre divisioni altrettanto importanti: lo si è visto per esempio quando al suo insediamento invitò sia Zelensky sia Orbán, o quando in Italia si è messo a esaltare l’ultraliberismo a una platea come quella di Fratelli d’Italia, le cui radici sono piuttosto in quella che da noi è chiamata “destra sociale”. Però nei fatti ha una fede ideologica nel libero commercio che è all’opposto del protezionismo altrettanto ideologico di Trump. 

 

Certo, l’Argentina eredita comunque un certo tipo di politica commerciale legata anche all’adesione al Mercosur, che come tutte le zone di libero scambio tende a cancellare le barriere doganali al suo interno per imporle verso l’esterno. Rientra dunque in pieno negli obiettivi annunciati da Trump, che dopo la tassa del 25 per cento su alluminio e acciaio intende uniformare i dazi doganali a quelli dei paesi che applicano tariffe più elevate sui loro prodotti. E martedì ha puntualizzato che per il governo di Milei non ci sarà nessuna eccezione. “Ho deciso, per ragioni di equità, di imporre dazi reciproci, ovvero gli stessi che i paesi applicano agli Stati Uniti”, ha detto Trump nello Studio Ovale. “Nella quasi totalità dei casi, ci fanno pagare molto di più di quanto facciamo pagare noi a loro, ma quei giorni sono finiti”. Ci vorrà un po’ di tempo per passare dalle annunciazioni di principio ai fatti, ma secondo Howard Lutnick, candidato alla guida del Dipartimento del Commercio, tutti gli studi dovranno essere completati entro il 1° aprile.

   

Un rapporto di Bloomberg Economics ha confrontato l'aliquota media applicata da ciascun paese alle importazioni dagli Stati Uniti con l'aliquota che gli Stati Uniti applicano alle merci provenienti da quel paese. L'Argentina rientra nel gruppo dei paesi le cui tariffe superano di 10 punti percentuali o più quelle a cui sono soggetti i suoi prodotti per entrare negli Stati Uniti, mentre Brasile, Paraguay, Bolivia ed Ecuador starebbero tra i 5 e i 10 punti. L'effetto più significativo si avrebbe in Sud America, Africa e Asia meridionale, in particolare in India.

Secondo Marcelo Elizondo, specialista in commercio estero presso la società di consulenza Dni, “Non abbiamo molti argomenti etici, politici o morali per dire loro di non aumentare i dazi se i nostri sono più alti. Il Mercosur è responsabile di questo perché ha tariffe doganali molto elevate, poiché è stato concepito 35 anni fa come un blocco per chiudersi tra quattro paesi, integrarsi tra loro e isolarsi dal mondo. Durante quel periodo, i tassi globali sono scesi da una media del 15 per cento a una media del 3 per cento, cosa che non si è verificata nella nostra regione”.

  

Milei comunque continua a puntare a un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, e la settimana prossima coglierà l’occasione della sua partecipazione alla Conservative Political Action Conference per vedersi con Trump. Trump ha detto che i dazi sarebbero dovuti al fatto che “abbiamo un piccolo deficit con l'Argentina”, e che l’unica a essere esentata potrebbe essere l’Australia, per il fatto che il suo surplus viene dalla vendita di molti aerei. Tra le imprese argentine a sperare che Milei possa ottenere una analoga eccezione, simile a quella che Trump diede a Macri nel 2018, ci sono in particolare l’Aluar, che ha dichiarato di esportare ogni anno circa 600 milioni di dollari in alluminio verso gli Usa, e la Tenaris del gruppo Techint, che esporta acciaio. 

  

L'Argentina ha chiuso l'anno scorso con un surplus di 229 milioni di dollari negli scambi commerciali con gli Stati Uniti. Le esportazioni verso gli Stati Uniti hanno raggiunto complessivamente 6.454 milioni di dollari nello stesso periodo, il 14 per cento in più rispetto al 2023, e le importazioni 6.225 milioni di dollari, con una contrazione del 27,9 per cento annuo. Ovviamente, c’è stato un forte impatto della recessione. Prima della “motosega” di Milei, l’Argentina nel 2023 aveva esportato negli Stati Uniti 5.648 milioni di dollari e ne aveva importati 8.629 milioni, con un deficit di 2.981 milioni di dollari. Insomma, Trump colpirebbe l’Argentina non solo malgrado Milei, ma proprio per via di Milei.  

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