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Negoziati e dubbi

Il problema di un accordo per fermare la guerra negoziato da America, Russia e Cina

Giulia Pompili

Il piano di Trump per la pace è un mistero, lo è la sua logica e altrettanto difficile è cercare di capire chi di fatto ci stia lavorando. Presto si incontrerà con il messaggero di Xi Jinping. Il dubbio della presenza di Pechino al tavolo dei negoziati sull'Ucraina

La Cina vuole un posto nella nuova “task force” creata dal presidente americano Donald Trump per negoziare la pace in Ucraina. Secondo alcune fonti anonime del Wall Street Journal, nelle ultime settimane i funzionari di Pechino avrebbero inviato segnali a Washington per ospitare i colloqui diretti fra Trump e Vladimir Putin – opzione rifiutata dalla Casa Bianca, i due si vedranno in Arabia Saudita. Ma l’idea di un piano di pace deciso fra potenze, e cioè fra America, Russia e Cina, è l’opzione preferita di Xi Jinping.

 

                  

 

Fino a oggi, a meno di un mese dal suo insediamento, Donald Trump è stato particolarmente aperto alla Cina. Non c’è ancora stata una telefonata fra i due leader, almeno non pubblica, ma Trump ha detto spesso che Pechino potrà “aiutare a fermare la guerra”, una dichiarazione smentita più volte dai fatti negli ultimi tre anni: dopo aver sancito “l’amicizia senza limiti” subito prima dell’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, la Cina ha silenziosamente sostenuto Mosca soprattutto nell’industria di base della Difesa. Secondo molti osservatori, un coinvolgimento cinese in questo round di negoziati è la migliore opzione per Xi Jinping, che potrebbe ottenere il famoso G2, un ruolo alla pari con l’America, con le due grandi potenze che coesistono e risolvono i problemi globali insieme.

In cambio del suo sostegno, Trump potrebbe decidere di essere molto morbido con la Cina nel settore della sicurezza economica e sui dazi – come del resto ha fatto finora. Il Wall Street Journal scrive che si starebbe creando una situazione molto simile a quella del 2018, quando all’inizio del suo primo mandato Trump non aveva attaccato la Cina, nella retorica né con i dazi, in cambio di pressioni cinesi sulla Corea del nord. Il leader nordcoreano Kim Jong Un era effettivamente andato a parlare con Trump, per ben tre volte, ma il risultato era stato disastroso. 

Il piano di Trump per fermare la pace in Ucraina è un mistero, lo è la sua logica e altrettanto difficile è cercare di capire chi di fatto ci stia lavorando, a parte il presidente. L’altro ieri all’Ukraine Defense Contact Group della Nato, il segretario alla Difesa americano Pete Hegseth ha detto che “gli Stati Uniti stanno dando priorità alla deterrenza di una guerra con la Cina nel Pacifico, facendo compromessi con le risorse disponibili per garantire che la deterrenza non fallisca”. Il messaggio agli europei che ha fatto discutere molto era: dovete difendervi voi, perché noi dobbiamo farlo nel Pacifico. Chen Weihua, editorialista del China Daily, ha commentato le parole di Hegseth scrivendo: il capo del Pentagono sta dicendo agli europei che lo Zio Sam non vuole più essere l’ingenuo, ora è il vostro turno. Ieri però Hegseth ha confermato che l’unico a poter parlare di un piano per fermare la guerra è il presidente Trump, che non a caso nel giro di 48 ore ha estromesso dai negoziati anche il suo inviato speciale per l’Ucraina, Keith Kellogg (che si stava dando da fare, e due giorni prima aveva incontrato anche l’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia). Nel frattempo, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ieri ha iniziato il suo tour europeo, è stato a Londra per incontrare David Lammy, andrà in Irlanda e a Monaco, alla Conferenza sulla sicurezza, e poi a New York. Wang è un messaggero di Xi, e nei prossimi giorni sarà molto a contatto con i messaggeri di Trump

L’idea di negoziare la pace solo con Putin, e forse con Xi Jinping, senza Zelensky oppure senza rappresentanti europei è stata demolita da Kaja Kallas, a capo della diplomazia dell’Ue, che ieri a margine della riunione dei ministri della Difesa della Nato ha detto: “E’ chiaro che qualsiasi accordo alle nostre spalle non funzionerà. Avete bisogno degli europei, avete bisogno degli ucraini”. Ma è una cosa su cui in molti sono d’accordo anche in Asia, specialmente in vista di un potenziale coinvolgimento cinese. Ieri in un editoriale uscito sul quotidiano giapponese Mainichi si leggeva, in modo limpido: “Questa guerra è stata scatenata dalla violazione del diritto internazionale da parte della Russia. Se si ignora la ‘giustizia internazionale’, si lascerà dietro un’eredità di problemi per il futuro”. Molti utenti giapponesi, commentando l’opzione di Trump di concedere alla Russia parti del territorio ucraino, sollevavano il problema della creazione di un precedente: “Vuol dire, di fatto, dare il via libera alla modifica dello status quo con la forza”. Lo status quo è ciò che, per esempio, il Giappone sta difendendo dalle mire espansionistiche cinesi nel Mar cinese orientale, e il timore è che la regola possa applicarsi anche con Taiwan. Soprattutto se la Cina avrà un posto, come vorrebbe, al tavolo dei negoziati sull’Ucraina
 

 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.