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Complotti e antisemitismo

Dentro al “Mito di Soros”. Storia di un capro espiatorio

Francesco M. Cataluccio

Le teorie complottiste sul finanziere-filantropo liberal riemergono di continuo, con evidenti connotazioni antisemite. Il suo controverso rapporto con l’America e Israele

“C’è Soros dietro il ricorso anti-Italia”, titolava a tutta pagina la Verità di sabato 8 febbraio. E il direttore Maurizio Belpietro, nel suo articolo di fondo, suggeriva che forse è l’ora di indagare sui denari dei “buoni”. La tesi sostenuta è che lo studio legale, per il quale lavorano i professionisti che chiedono di incriminare il governo italiano per non aver arrestato Osama al Njeim Almasri, ha tra i suoi sponsor la Fondazione Open Society di Soros. Inoltre, per completare il quadro, Francesco Bonazzi raccontava che colpendo l’organizzazione UsAid (tagliando diecimila suoi dipendenti), Donald Trump intende scoprire che fine abbiano fatto gli oltre 300 miliardi dirottati in parte nelle mani di Soros.

 

           

Nuovamente si torna a sostenere  (sempre domenica anche nella riunione, a Madrid, del gruppo dei parlamentari europei dei Patrioti con Abascal, Orbán, Le Pen e Salvini) che, dietro le trame politico-finanziarie più oscure che cercano di colpire l’Italia e il suo governo (come tutti i paesi e governi non “liberali”), ci sia  la mano di George Soros, il finanziere-filosofo-filantropo di origini ungheresi ed ebreo. La compagna contro di lui ha i toni chiaramente antisemiti. Già nel 2017 il Foglio scriveva che ormai Soros è diventato l’abbreviazione di “complotto giudeo”. Il suo nome è legato a centinaia di teorie del complotto: la presenza anche soltanto immaginata di Soros e del suo denaro è l’elemento che colora di tinte cospirative qualsiasi notizia.

Come sostiene la semiologa Valentina Pisanty, nel suo interessante volume “Antisemita. Una parola in ostaggio”, recentemente pubblicato da Bompiani, “ogni guerra è anche una guerra di parole” e stiamo assistendo a un ritorno (in incognito) del vecchio antisemitismo: “Uscito dai radar dei dizionari, l’antisemitismo vero, quello dei Protocolli dei Savi di Sion, è ormai senza nome, libero di scorrazzare on e off line senza che nessuno gli faccia troppo caso”. La tesi del libro è infatti che, anche se controverso, non è “antisemita” ogni critica alle politiche dello stato di Israele. L’antisemitismo è puro pregiudizio razziale, l’antisionismo è una posizione politica e come tale si declina in tanti modi: “A forza di ribadire che antisemitismo e antiosionismo sono la stessa cosa, si finisce per togliere peso e gravità al primo dei due termini”.

La genesi del “mito di Soros” ha un ruolo strategico nella propaganda antisemita contemporanea. Il grande nemico di Soros è il premier ungherese Victor Orbán nonostante il fatto che, dal 1989 al 1990, usufruì di una borsa di studio dalla sua Fondazione per studiare Scienze politiche al Pembroke College di Oxford. Nel 2008 Orbán chiese consiglio a Benjamin Netanyahu su come affrontare le imminenti elezioni presidenziali ungheresi. Netanyahu lo mise in contatto  con i suoi consulenti Arthur Finkestein e George Eli Birnbaum  (specialisti del rejectionist voting:  se la gente viene opportunamente spaventata, vota più volentieri contro che a favore di un candidato) che lo avevano aiutato a sconfiggere Simon Peres nel 1996. Orbán ottenne, nel 2010, una vittoria schiacciante contro i malgovernanti socialisti (Mszp) di Ferenc Gyurcsány. In quattro anni Orbán neutralizzò con tutti i mezzi  i suoi avversari.

Per poterne facilitare la rielezione i suoi consiglieri “inventarono” allora un nuovo nemico, per altro di origini ungheresi: George Soros, il famoso e potente speculatore finanziario che aveva affondato le valute britannica e italiana nel 1992 e scatenato la crisi finanziaria asiatica del 1997. Varie voci sulle “manovre segrete” di Soros per controllare l’economia mondiale circolavano in Europa sin dagli anni Novanta, sia negli ambienti antisemiti di destra sia fra le tante persone rovinate nel Black Wednesday: “Soros mezzo filantropo e mezzo speculatore assetato di potere, manipolatore e ipocrita, architetto e genio-guida del governo ombra, nuovo Lenin che trama una rivoluzione segreta il cui scopo precipuo è privare l’occidente della sua identità, falso universalista che finge di preoccuparsi per gli oppressi mentre accumula segretamente le enormi ricchezze di cui ha bisogno per conquistare il mondo”. Ecco bella e pronta la figura del nemico satanico il cui mito si propaga nel web  e nel mondo sotto forma di discorsi, manifesti, vignette, meme e frasi fatte circolare ad arte. E anche se le sue caricature non dicono esplicitamente che è ebreo si riconoscono tutti i tratti dello stereotipo.

Soros ha sempre appoggiato i democratici alle presidenziali americane come i partiti liberali in Europa e i movimenti democratici nell’Europa dell’est. Per questo si è fatto molti nemici tra conservatori,  populisti e leader delle democrature. Ovunque ci fossero destre in ascesa bisognose di capri espiatori su cui far ricadere gli effetti della propria inadeguatezza politica è stato utilizzato il potere retorico del “mito di Soros”. Valentina Pisanty ricorda puntualmente tutti quelli che lo hanno additato, rispolverando un armamentario antisemita che prima faceva parte soltanto di certi circoli dell’estrema destra, come la causa di ogni male: la destra italiana, utilizzando un tema antisemita come quello della Grande Sostituzione/Piano Kalergi e accusando Soros di essere la mente occulta dietro le rotte dei migranti  nel Mediterraneo; Donald Trump, Rudolph Giuliani e Fox News hanno sostenuto che ci sono forti “connessioni occulte” tra i vertici della finanza mondiale e la sinistra radicale statunitense; il presidente turco Recep Tayyip Erdogan lo ha accusato di essere al centro di una cospirazione ebraica per mandare in pezzi la Turchia e altre nazioni; per il britannico Nigel Farage, “Soros rappresenta il pericolo più grande per l’intero mondo occidentale”. E così anche in Brasile, Francia, Spagna Polonia, Ungheria, Slovacchia...

Ciò che fa impressione è che anche Netanyahu abbia additato Soros come il grande burattinaio della politica mondiale (che è un tema antisemita!). Ha imputato i suoi guai giudiziari alle macchinazioni di Soros e suo figlio Yair ha postato meme antisemiti  raffiguranti Soros che tiene all’amo un rettiliano che tiene all’amo un ebreo usuraio che tiene all’amo gli avversari politici della famiglia Netanyahu. Allison Kaplan Sommer ha scritto (“Why Netanyahu Hates George Soros So Much”, Haaretz, 10 settembre 2017): “Netanyahu si sente il leader del popolo ebraico, ma ci sono alcuni ebrei che è decisamente poco entusiasta di rappresentare. E Soros probabilmente è in quella lista (...) Uno dei motivi per cui Netanyahu è restio a criticare Orbán per i suoi manifesti antisemiti con la faccia di Soros è che comprende la volontà di Budapest di colpire le ong di Soros. E il governo israeliano è spesso stato oggetto delle campagne per i diritti umani sponsorizzate dall’illustre magnate e dal suo network”.  Soros infatti sostiene e finanzia importanti ong per i diritti umani, come Human Rights Watch e Amnesty International, che criticano regolarmente la politica di Tel Aviv. Le organizzazioni sostenute da George Soros sono state oggetto della legge sulle ong del 2016 promossa dal premier Netanyahu: iniziativa volta a limitare l’attività delle ong e onlus che ricevono finanziamenti da parte di enti e governi stranieri.

Le posizioni di Soros (che si definisce “ebreo non sionista”) verso la politica dei governi israeliani sono a volte state controverse, troppo semplicistiche e ingenue, e hanno suscitato forti reazioni.  Nella primavera del 2007, con un articolo che fece scalpore, pubblicato sulla New York Review of Books (“On Israel, America and Aipac”), sostenne che Israele doveva ritirarsi dalla Cisgiordania per consentire la nascita di uno stato palestinese e Hamas doveva riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Ma suggeriva che gli Stati Uniti imponessero a Israele di trattare con Hamas il ritiro anche, se Hamas continuasse a rifiutare il riconoscimento di Israele. Questo piano, secondo Soros, non andava avanti “per colpa della lobby ebraica, che è la principale causa della situazione nella quale si trova il medio oriente”. E’ abbastanza sconcertante poi notare che a un forum ebraico a New York (cfr. Uriel Heilman, Soros Says Jews And Israel Cause Anti-Semitism, in Jewish Telegraphic Agency, 8 novembre 2003), Soros abbia attribuito in parte la recrudescenza dell’antisemitismo alle politiche di Israele e degli Stati Uniti, e anche a ebrei di successo come lui stesso: “C’è un risorgere di antisemitismo in Europa. Le politiche dell’Amministrazione statunitense e di quella israeliana contribuiscono a ciò. Non si tratta nello specifico di antisemitismo, ma si manifesta comunque in questo modo. Io critico tali politiche. Se cambiamo questa impostazione, allora anche l’antisemitismo diminuirà. Non vedo come si potrebbe altrimenti... Rifletto molto anche sul mio ruolo perché il nuovo antisemitismo afferma che gli ebrei governino il mondo... Come involontaria conseguenza delle mie attività... Contribuisco anche io a questa credenza”.