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Foto Ap, via LaPresse
l'editoriale del direttore
Tre elettrochoc che servono all'Ue per difendere i confini di Kyiv e quelli della democrazia
Dal metodo Mattarella ai puntini di Trump. In Europa, oggi, la democrazia non si difende più da sola, con il pilota automatico, serve reagire perché la convergenza fra trumpismo e putinismo, oggi, non è solo sui probabili confini futuri dell’Ucraina ma è sui futuri confini delle democrazie liberali
La parola giusta è quella: elettroshock. La fase è quella che è, lo sappiamo e lo vediamo, e tutto quello che sembrava essere molto difficile da immaginare improvvisamente è qui, è presente ed è di fronte ai nostri occhi in modo persino sfacciato, senza infingimenti. La fase è quella che è, lo sappiamo, e quando l’occidente perde un alleato di nome America, quando l’America sceglie di mettere l’appeasement con Putin su un piedistallo più importante rispetto alla difesa dell’Europa e quando il mondo improvvisamente sembra aver fatto un orrendo salto nel passato, tra cupo isolazionismo americano, inquietanti politiche protezionistiche, spaventosi nazionalismi di ritorno, controproducenti guerre sui dazi, spericolati accordi con i tiranni, infauste repliche dei modelli non esattamente di successo sperimentati nel 1938 a Monaco con un signore di nome Adolf Hitler, quando succede tutto questo, quando cioè l’amata Europa viene calpestata con i tacchetti da quello che dovrebbe essere il suo alleato naturale, ovvero l’America, e quando l’America sembra essere intenzionata a fare di tutto per provare a trasformare la pace in Ucraina in una resa dell’occidente, viene naturale farsi prendere per un istante dallo sconforto e immaginare, solo per un istante, che il mondo sia destinato presto a finire a rotoli.
In momenti come questi siamo tutti dunque alla disperata ricerca di notizie che possano permettere di riequilibrare il senso di abbandono e di assedio dell’Europa. E seppur con una certa fatica ieri qualcosa è successo o quantomeno qualcosa si è mosso.
Inizia tutto la mattina presto, quando Emmanuel Macron, presidente francese, rilascia una bella intervista al Financial Times, in cui usa la parola giusta per inquadrare la fase, soprattutto per l’Europa: il ritorno di Donald Trump, dice Macron, è un “elettroshock” che dovrà costringere l’Europa a garantire in modo diverso dal passato il proprio futuro oltre a quello dell’Ucraina. Il “risveglio strategico” auspicato da Macron è un risveglio che, se arriverà, arriverà comunque tardi, arriverà dopo anni durante i quali l’Europa ha spesso tergiversato nell’inviare all’Ucraina le armi che avrebbe potuto mandare, nel tagliare ponti sull’energia che avrebbe potuto tagliare prima, nell’aiutare l’Ucraina anche con i propri uomini, e non solo con le proprie buone intenzioni. Ma è un risveglio che, se arriverà, dovrà partire da una consapevolezza necessaria: in Europa, oggi, la democrazia non si difende più da sola, con il pilota automatico. Lo ha capito, bene, il primo ministro inglese, Keir Starmer che, a proposito di buone notizie, ne siamo alla ricerca allegra e disperata, ieri ha detto quello che gli Stati Uniti e anche l’Unione europea si sono rifiutati di dire in queste ore, ovverosia che avere l’Ucraina nella Nato è un “percorso irreversibile, come concordato dagli alleati al vertice di Washington dello scorso anno”. Lo ha capito, per quanto possibile, anche la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ieri ha annunciato che proporrà di “attivare la clausola di salvaguardia per gli investimenti nella Difesa, che consentirà agli stati membri di aumentare sostanzialmente la loro spesa per la Difesa”. La fase dell’elettroshock, per l’Europa, passa da una nuova consapevolezza, dalla necessità cioè di doversi difendere da sola, dalla comprensione di un fatto storico rilevante, ovverosia che per l’Unione è finita l’èra della difesa della democrazia a basso costo.
Ma passa anche dalla comprensione del presente, senza infingimenti, e dalla necessità di sapere unire i puntini.
Puntino numero uno: Trump che intavola trattative con Putin, immaginando una Yalta senza l’Europa.
Puntino numero due: il vicepresidente di Trump, J. D. Vance, che alla Conferenza di Monaco, ieri, dice che “la minaccia che più mi preoccupa nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno, perché ciò che mi preoccupa è la minaccia interna: il ritiro dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali”.
Puntino numero tre: la campagna esplicita da parte di alcuni soggetti vicini al presidente americano, da Musk a Vance, a favore degli estremisti antieuropei, come l’AfD in Germania.
I puntini sono di fronte a noi e il disegno è drammaticamente chiaro: la convergenza fra trumpismo e putinismo, oggi, non è solo sui probabili confini futuri dell’Ucraina ma è sui futuri confini delle democrazie liberali. L’elettroshock sulle armi, sulla difesa, anche sul deficit forse, come chiede Macron, che suggerisce di cambiare ancora i parametri per attrezzare l’Europa a un’economia di guerra, è necessario. Ma necessario è anche imparare a chiamare le cose con il loro nome, iniziare a capire che di fronte a Trump, di fronte alla sua minaccia, occorre, per tutti i leader europei, stare dalla parte dell’Europa senza infingimenti, allontanandosi dal ruolo di cheerleader del movimento Maga e Mega, nella consapevolezza che i veri patrioti oggi sono quelli che scelgono di aderire al patriottismo europeo e che scelgono dunque di chiamare le cose con il loro nome, come ha fatto qualche giorno fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella definendo la minaccia russa per quello che è, utilizzando un’espressione forte, che ieri ha fatto indispettire la Russia, e che anche per questo oggi trovate in rilievo nella nostra prima pagina. Eccola: “La crisi economica mondiale del 1929 – ha detto Mattarella il 5 febbraio a Marsiglia – scosse le basi dell’economia globale e alimentò una spirale di protezionismo, di misure unilaterali, con il progressivo erodersi delle alleanze. (…) Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali. Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto – anziché di cooperazione – pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi su una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura”. L’elettroshock dell’Europa passa dai fatti, dalla consapevolezza della minaccia, ma anche dalle parole, dal chiamare le cose con il loro nome e dal prendere sul serio i populisti democratici e gli autoritarismi illiberali, perché entrambi se promettono a viso aperto di fare qualcosa di pericoloso è possibile che poi lo facciano davvero. La fase è quella che è, il tempo è probabilmente scaduto, ma la strada dell’elettroshock può aiutare l’Europa a difendere gli stessi confini che da tre anni protegge eroicamente l’Ucraina: quelli della nostra democrazia.