(foto Ansa)

L'editoriale dell'elefantino

In bocca a Trump e Vance “pace” è diventata una parola sinistra

Giuliano Ferrara

Era una rete protettiva della dignità, della cultura, della comune umanità, con molti equivoci, anche. Ma oggi nell’ansia del negoziato trilaterale delle autocrazie si è trasformata in un incubo commerciale, uno sfregio al meglio della storia d’Europa

Di questi tempi tragicamente interessanti la cosa che immalinconisce di più è il destino della parola pace, PACE: è diventato un termine sinistro. Da piccolo alla marcia Perugia-Assisi mi misero in mano un cartello che diceva “vogliamo crescere in pace”, e siccome ero più che cicciottello, tutti i compagni di strada ridevano bonariamente all’idea che chiedessi di crescere ancora di più. Poi la guerra, di cui avevo sentito dai genitori e dai nonni, come tutti i boomer, l’ho vista direttamente nella forma spietata, orrenda, della guerra civile libanese, nei campi, nella valle della Bekaa. Ne ho provato una naturale, infinita ripugnanza. Erano i tempi della violenza e della brutalità terroristica anche in casa, in Italia, a Torino, dove paura e pietà si rincorrevano nell’inesprimibile delirio dell’ideologia e del terrore. Pace è sempre stata parola alta, importante, magari colma di equivoci, già a partire dal 1938, quando alla pace si sacrificavano stoltamente confini sovrani e diritti dei popoli, ma pace era un orizzonte ineludibile dopo i disastri novecenteschi in Europa. 

Pace era una rete protettiva della dignità, della cultura, della comune umanità, specie negli anni della paura nucleare e dell’equilibrio della deterrenza reciproca. In quella rete finivano i pesci velenosi del comunismo, che era pacifista ma non pacifico, e quelli del mondo libero, che si difendeva con mezzi propri e obliqui, subdoli, espressione della forza e della brutalità coloniale del mondo libero.

 

Degli infiniti equivoci intorno alla parola che rassicura e protegge abbiamo tutti subito, specie i più deboli della storia, conseguenze disastrose, ma il concetto di pace non aveva alternative e per lunghi anni è stato un aggancio strategico per la coesistenza, per la gara tra regimi diversi, infine per la vittoria tonante e guerriera, ma di velluto, sull’oppressione a est. La pace di Giovanni Paolo II e di Ratzinger, di Havel e molti altri, era mescolata con l’agostinismo della guerra giusta, una vetta teologica e di cultura cattolica, universale, si giustificava perché innalzava con sé i simboli anche madonnari, totemici, della libertà, della resistenza e della non negoziabilità dei princìpi ultimi e primi. 

 

In apparenza, e sperando di essere in errore, la pace in bocca a Trump e Vance è trasformata in un incubo commerciale, nella protezione esclusiva di un’idea egoista ed egotica di benessere delle classi dominanti, anche del ceto medio impoverito, è uno sfregio al meglio della storia d’Europa, non è più dispendio di equivoci e speranze, è un risparmio a spese di milioni di creduloni che la devastazione della guerra, dei pogrom, delle dissennatezze  belliche hanno subito e subiscono e sulla cui testa oggi esplode, dopo Kabul, dopo il ritorno dei tagliagole, dopo il 7 ottobre e il ritorno degli ostaggi sfigurati, l’ansia del negoziato trilaterale delle autocrazie o delle democrazie illiberali che affermano un dominio del silenzio e della disdetta scavalcando problemi e verità politiche, erigendo un muro di sicurezza il cui basamento è la menzogna.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.