Ansa

Negli Stati Uniti

A Washington è l'ora dei neoisolazionisti. Ma c'è chi resiste

Marco Bardazzi

I falchi premono per il disimpegno dall’Europa e dal medio oriente per concentrarsi su un solo nemico: la Cina. Primo test, le nomine al Pentagono

Il traumatico passaggio in Europa nei giorni scorsi del vicepresidente americano JD Vance e del nuovo capo del Pentagono Pete Hegseth ha offerto un assaggio di quella che vuole essere la strategia di politica estera dell’Amministrazione Trump nei prossimi anni: un neoisolazionismo che intende spazzare via ciò che resta non solo del multilateralismo dei tempi di Biden e Obama, ma anche gli ultimi residui della dottrina neocon dell’epoca di George W. Bush e Dick Cheney. Ma dietro a Vance e Hegseth c’è ancora una situazione fluida e una mappa del potere da completare. A Washington è in pieno svolgimento la battaglia per definire i rapporti di forza tra chi deve disegnare le relazioni internazionali degli Stati Uniti. Per capire cosa succederà occorre guardare non tanto al dipartimento di stato di Marco Rubio, relegato per ora a compiti secondari, quando al Pentagono e alle audizioni per completare la squadra della Difesa. Perché la strategia globale si farà soprattutto qui.

Hegseth è sopravvissuto allo scrutinio da parte del Senato per la conferma della sua nomina, ma nei prossimi giorni a essere interrogati saranno alcuni uomini chiave del suo team e c’è aria di burrasca all’interno dello stesso Partito repubblicano. Molti senatori sono preoccupati dall’emergere di un disegno che prevede un forte disimpegno americano non solo in Europa e nei confronti dell’Ucraina, ma anche in medio oriente, dove si vorrebbe lasciare a Israele e ai sauditi il compito di vedersela da soli con l’Iran. Il tutto per spostare il baricentro in Asia e dedicarsi completamente al contrasto geopolitico e forse militare alla Cina.
Il test che farà capire l’aria che tira saranno le audizioni per confermare la squadra di Hegseth e soprattutto la nomina di Elbridge Colby a sottosegretario alla Difesa responsabile delle strategie del Pentagono. Colby è il leader dei neoisolazionisti, il nemico giurato del mondo neocon, un superfalco sulla Cina e il teorico più sofisticato della necessità per gli Stati Uniti di disimpegnarsi dall’Europa e dal medio oriente. Le sue idee creano allarmi su vari fronti a Washington. L’organizzazione che riunisce le maggiori associazioni ebraiche americane ha inviato una lettera preoccupata ai senatori, temendo che l’arrivo di Colby al Pentagono significhi un ridimensionamento del sostegno a Israele. Il senatore del Mississippi Roger Wicker, che presiede la commissione sulle forze armate, ha ammesso con la rivista The Hill che le idee di Colby “destano preoccupazione per molti senatori” e il leader dei democratici nella stessa commissione, Jack Reed del Rhode Island, ha lanciato l’allarme per il rischio di un disimpegno in medio oriente. Il potente senatore Tom Cotton dell’Arkansas si appresta a fare domande difficili a Colby. L’anziano senatore repubblicano Mitch McConnell, che resta una voce influente a Capitol Hill, è pronto a votare contro i vice di Hegseth perché vuole che l’America continui a organizzarsi per far fronte contemporaneamente a tre nemici: Russia, Cina e Iran. 

 

Ma Colby ha le spalle coperte e non rappresenta certo solo sé stesso. Il brillante stratega con doppia laurea a Harvard e Yale, fondatore del think tank di politica estera The Marathon Initiative, nipote di un direttore della Cia e già passato dal Pentagono nella prima amministrazione Trump, è il teorico che deve portare al ministero della Difesa e attuare le idee di un terzetto che vuole guidare le scelte globali del presidente: JD Vance, Don Trump Jr e Tucker Carlson. Il vicepresidente, il figlio di The Donald e il popolare commentatore della destra trumpiana sono gli sponsor dei neoisolazionisti e Colby è una delle loro pedine. Ma certo non l’unica. 

Se Colby è la mente della strategia di disimpegno del Pentagono, il braccio operativo è Dan Caldwell, che ha gestito il team della transizione della Difesa dall’Amministrazione Biden al Trump 2. Per Caldwell si vocifera di una imminente nomina a vice del generale Keith Kellogg, l’inviato di Trump per la gestione del conflitto tra Russia e Ucraina. Una posizione da cui Caldwell, frequente autore di saggi su Foreign Affairs, la bibbia della strategia di politica estera americana, potrà portare avanti la causa dei “restrainers”. E’ così che si fanno chiamare da alcuni anni i giovani leoni della New Right – tra cui Colby e Caldwell – che vogliono chiudere definitivamente il capitolo delle guerre di Bush, l’epoca neocon della “esportazione della democrazia”, per tornare a un isolazionismo che deve essere la cifra dell’America First di Donald Trump.

 

Altri “restrainers” in arrivo al Pentagono sono Michael DiMino e Andrew Byers, scelti come vice di Colby con la responsabilità rispettivamente del medio oriente e del sud-est asiatico. Caldwell, DiMino e Byers hanno tutti una radice comune: sono cresciuti in think tank come Stand Together o Defense Priority messi in piedi e finanziati dal magnate del petrolio Charles Koch, che da una decina d’anni si è intestato la battaglia per ridurre la presenza degli Stati Uniti nel mondo e per spingere il paese a isolarsi e uscire dalle organizzazioni internazionali. 

Il ministro della Difesa Hegseth nelle sue audizioni ha promesso di voler mantenere gli impegni americani nella Nato e su tutti gli scenari del mondo, ma rischia di trovarsi da solo. Sopra di lui, a far pressione per il neoisolazionismo, ci sarà il potente terzetto Vance-Trump Jr-Carlson che ha già allontanato dall’orecchio del presidente, per esempio, il genero Jared Kushner, che era stato protagonista della politica estera mediorientale nella prima amministrazione. Sotto di lui ci sarà un vivace gruppo di giovani “restrainers” come Colby, Caldwell, DiMino e Byers, tutti con una vasta rete di contatti nel mondo della politica e dei media, abili nel parlare in tv, gestire i social e partecipare a eventi pubblici.

Le parole dei giorni scorsi di JD Vance all’Europa alla conferenza di Monaco erano un assaggio della strategia che sta emergendo nel nuovo ecosistema della destra americana. Gli isolazionisti ci sono sempre stati nel Partito repubblicano, ma sono rimasti in minoranza dai tempi della Seconda guerra mondiale e sono stati completamente silenziati negli anni del secondo Bush. Adesso hanno ripreso il controllo della politica estera del partito, grazie a Trump e al suo disinteresse per qualsiasi presenza “idealistica” dell’America nel mondo, e si preparano a una stagione dove vogliono concentrarsi su un solo nemico economico e militare: la Cina.
 

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