Sfilata di carri al Carnevale di Nizza (LaPresse) 

Astenersi cheerleader del trumpismo

Claudio Cerasa

Trump, l’Europa, i follower del trumpismo e l'ora delle scelte. Sull’Ucraina e non solo. Perché per essere pontieri efficaci bisogna riconoscere il pericolo, scegliere da che parte stare senza ambiguità e muoversi da patrioti europei

Pontieri e patrioti: ma come si fa? Il fotogramma migliore per provare a ragionare intorno alla fase surreale che stanno vivendo in queste ore alcuni leader dell’Unione europea – una fase, per capirci, in cui vi è un presidente americano, Donald Trump, che per discutere con la Russia i dettagli di una possibile pace in Ucraina, dunque in Europa, sceglie l’Arabia Saudita, rifiutandosi di coinvolgere in questo vertice i leader europei, che l’Ucraina, quando la pace arriverà, saranno i primi a doverla difendere – corrisponde a una famosa scena andata in onda anni fa, nel 2001, quando, a due mesi dalle elezioni politiche italiane, uno straordinario Corrado Guzzanti, da Serena Dandini, all’“Ottavo nano”, si esibì in una memorabile imitazione di Francesco Rutelli, allora candidato premier per il centrosinistra, impegnato in un colloquio a distanza con Silvio Berlusconi. “Ah Berlusco’, ma perché ce l’hai con noi? Noi stiamo a lavora’ pe’ te? A me mi dispiace perché io di carattere non so cattivo, ma viene la rabbia, oh. Berlusco’, ma che c’ho che nun te va? So troppo alto? Ti danno fastidio ’ste gambe lunghe? Me le sego, cammino in ginocchio, so più basso di te, Berlusco! Ma che devo fa, ahó? A me non me frega niente, me consumo un paio di calzoni al giorno, ma lo faccio per te, so’ contento. C’ho troppi capelli, ti danno fastidio? Dammi la macchinetta, mi taglio i capelli come Berlusconi, me faccio pelato, ahó. Io non lo so’ chi lo vince sto conflitto elettorale, io te posso di’ una cosa sola: se vince Berlusconi: Berlusco’, aricordati degli amici! Ricordati di chi t’ha voluto bene!”.

 

Se ci si riflette un istante, la gag di Guzzanti potrebbe essere riattualizzata oggi ragionando attorno a un profilo affascinante che coincide con quello degli amici europei di Donald Trump, soprattutto quelli italiani, che per provare a proteggere l’Ucraina evitando l’effetto Guzzanti – ah Donald, con tutto quello che abbiamo fatto per te, noi, qui, in Europa, ti prego, ricordati degli amici, ahó – hanno il dovere di cambiare registro, di fare una scelta di campo, come si dice, e di provare a fare semplicemente quello che hanno sempre promesso di fare: i patrioti.

   
Essere patrioti, oggi, di fronte alla prospettiva possibile anche se non ancora certa che la pace in Ucraina possa essere negoziata dagli Stati Uniti senza il coinvolgimento dell’Unione europea. Significa muoversi da sovranisti europei, avendo a cuore la sovranità dell’Europa. Significa agire nella consapevolezza che tutto quello che l’America deciderà sull’Ucraina riguarda anche l’Europa, e anche l’Italia. E significa vivere nella consapevolezza che nell’èra delle grandi scelte strategiche, delle grandi divisioni nel mondo, dei grandi conflitti globali, per essere dei pontieri non si può essere neutrali ma bisogna avere ben chiaro dove affondano le proprie radici. E bisogna aver ben chiaro che mai come oggi per difendere l’interesse europeo, e anche quello italiano, occorre certamente confrontarsi con Donald Trump ma occorre anche trovare un modo autonomo, sovrano si sarebbe detto un tempo, per sfidarlo a viso aperto, sapendo che la difesa degli interessi americani non è più sempre compatibile con la difesa degli interessi degli europei. Questo vale quando si parla di economia. Vale quando si parla di commercio. Vale quando si parla di dazi. Ma oggi più che mai vale quando si parla di Europa e di politica estera.

 

Ieri, Giorgia Meloni ha partecipato a Parigi al vertice sull’Ucraina convocato in fretta e furia dal presidente francese Emmanuel Macron all’Eliseo, insieme ai capi di stato e di governo di Germania, Regno Unito, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca, insieme al segretario generale della Nato Mark Rutte, al presidente del Consiglio europeo António Costa e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. E in attesa di capire quali saranno le risposte che daranno, sull’Ucraina, i grandi leader europei, vale la pena iniziare a intendersi sulle domande giuste da porsi, in questa fase.

 

Per esempio. Se Trump continuerà a muoversi contro gli interessi europei, i pontieri amici di Trump faranno qualcosa per arginare il trumpismo? Se l’attuale formula dei ventisette paesi che sui grandi temi decidono sempre all’unanimità non dovesse essere al passo con i tempi – davvero, è stato un errore escludere dalla riunione improvvisata per discutere del futuro dell’Ucraina i paesi che in questi mesi hanno scelto di essere i cavalli di Troia di Putin in Europa – la soluzione sarebbe sfidare quel principio definendo una serie di temi su cui l’Europa decide a maggioranza per evitare, come ha detto ieri sul Foglio Marina Berlusconi, di avere un’Europa eternamente “bloccata nelle sabbie ‘immobili’ degli ostruzionismi e dei veti?”. E se l’Ucraina avesse bisogno con urgenza di Forze armate, peacekeeper, per proteggere i suoi confini, l’Italia in che misura sarebbe disposta a difendere i patrioti ucraini, come hanno già promesso di fare il governo svedese, il governo francese, il governo inglese e alcuni parlamentari tedeschi dello stesso partito del prossimo probabile cancelliere tedesco Friedrich Merz? Si può dar torto dunque al primo ministro inglese, il laburista Keir Starmer, quando dice che la fine del conflitto innescato dall’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina “quando arriverà, non potrà diventare semplicemente una pausa temporanea prima che Putin attacchi di nuovo”. E si può dar torto a Marina Berlusconi quando, sempre sul Foglio, dice: “Spero davvero che il paese che è sempre stato il principale garante dell’occidente non abbia ora un presidente che ambisce a diventare lui il ‘rottamatore’ dell’occidente stesso, demolendo così tutto quello che l’America è stata negli ultimi ottant’anni: molte delle sue prime mosse, purtroppo, assomigliano ad atti di bullismo politico, in cui gli Stati Uniti si pongono come il solo e incontrastato numero uno, mentre gli alleati vengono trattati come paesi-satellite”. Essere pontieri è un’opportunità, farlo da patrioti europei è una necessità, per evitare di passare velocemente dallo status di alleati a quello di cheerleader. Pontieri e patrioti: è il momento di decidere da che parte stare, senza muoversi in Europa seguendo solo la chiave guzzantiana del “Dear Donald”, aricordate di chi t’ha voluto bene!”.
 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.