(foto EPA)

L'editoriale dell'elefantino

C'era una volta l'Europa. Un'Ue disarmata, prima di tutto nel suo vocabolario esistenziale

Giuliano Ferrara

L’Europa dei parrucconi incipriati che non vuole tornare alle origini e si è consumata nei riti del green deal, del normativismo, della giuridicizzazione dei conflitti e dell’opportunismo travestito da pacifismo

C’era una volta l’America di Reagan, l’attore e cowboy che aveva preso il posto del vecchio patriziato politico democratico e dell’establishment repubblicano bruciato dall’esperienza, insieme balorda e grandiosa, della presidenza Nixon; c’era una volta l’Europa di Giovanni Paolo II e Ratzinger e Thatcher, Kohl e Mitterrand. Non è cambiata solo l’America, anche l’Europa è molto cambiata. Capitalismo, commercio, istituzioni, mentalità, mercati: la radice del conflitto attuale non la si rintraccia senza pensare a questa trasformazione culturale, antropologica, politica, ai modi in cui ha investito popoli e classi dirigenti e sistemi di informazione, comunicazione, interazione tecnologica e scientifica. La forte caratura europeista e di critica dello spirito demolitorio e antioccidentale di Trump e dei suoi accoliti, rivelata nell’intervista a Cerasa dell’erede di Berlusconi, Marina, non è una sorpresa per noi qui, che da anni battiamo sul tasto delle differenze di fondamento oltre che di stile di fenomeni in apparenza omologhi come il berlusconismo e il trumpismo. Berlusconi fu definito da Gad Lerner e da altri un Reagan della Brianza, e sia, ma il Berlusconi del Queens è tutta un’altra cosa dal suo modello brianzolo, malgrado li accomunino i forgotten men, gli esclusi del ceto medio in crisi.

 

E tra loro autentici svantaggiati della globalizzazione e molti piagnoni hillbilly come J. D. Vance, denaro, televisione, blocco sociale estraneo all’aristocrazia della finanza e dell’industria, comportamenti e linguaggio scorretti ma chiari, diretti, donne, spavalderia e buffonery (fare cose stravaganti o stupide perché gli altri ne ridano). Lo stesso vale per Vance quando sale in cattedra e biascica concetti scrutoniani o ratzingeriani sulla débauche europea del correttismo censorio e della resa all’immigrazione invasionista e islamica, modello Ratisbona: la sua lectio magistralis a Monaco è un’infarinatura di luoghi comuni che esplode in faccia a una leadership ammutolita dalla propria debolezza, che quei concetti ha conosciuto bene, nella versione teologico-politica, quella sì magistrale e di un’epoca aurea, e ha cercato di proteggersene per oscurantismo relativista mettendosi in brache di tela di fronte alla reazione venuta da oltre Atlantico. 

 

L’Europa che viene esclusa dal negoziato per l’Ucraina, e che si era autoesclusa da qualunque seria capacità di pesare nella crisi mediorientale, non subisce l’affronto solo per non aver saputo unificare il suo esercito e le sue tecnologie, per non aver ridotto remore e regole in favore di una ricomposizione seria del proprio potere politico e fiscale centrale o “federale”, è un’Europa che ha disarmato prima di tutto il vocabolario esistenziale che avrebbe dovuto esserle proprio, e si è consumata, estenuata, nei riti del green deal, del normativismo, della giuridicizzazione dei conflitti, dell’opportunismo travestito da pacifismo. Tutto essendo cominciato, per una sua parte decisiva (Francia e Germania), dal primo tradimento della strategia occidentale all’epoca della guerre in Iraq e in Afghanistan e della risposta mondiale all’11 settembre 2001. Invece di sostenere l’America dei Clinton e dei Bush, scambiati per aggressivi neoimperialisti, abbiamo votato per Obama e il suo sogno di guidare il mondo multilaterale dalle retrovie, ritrovandoci alla fine con le spavalderie di Putin e con Biden, che uno sforzo l’ha fatto ma tardi e male, e siamo finiti nella parte soccombente di questo nuovo pezzo di storia che si apre alla convergenza autocratica o illiberale tripolare (Washington, Mosca, Pechino) ai primi passi in Arabia Saudita. O il mainstream europeo recupera i criteri che conosce bene e che i suoi grandi degli anni Novanta e seguenti avevano illustrato al mondo, quando il patriarca Kirill e il vice di Trump dormivano della grossa, oppure, al posto di una forte democrazia conservatrice, di fibra churchilliana, ci si deve rassegnare allo scrutonismo degli stenterelli, tra Marine Le Pen e Alice Weidel, di quelli che considerano l’Europa un’accademia di parrucconi incipriati, una specie di Royal Society incapace di espellere dai suoi fellow un Elon Musk, re dei follower, che alcuni di loro, come Anthony Fauci, li vuole addirittura in galera. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.