(foto EPA)

regno unito

Il ponte di Keir Starmer tra Stati Uniti e Ue

Cristina Marconi

Il premier britannico s’intesta la battaglia per difendere l’Ucraina e l’Europa, provando a tenersi attaccato all’America

Keir Starmer fa prove di leadership internazionale. Fuori dall’Unione europea, in una posizione privilegiata per “assicurarsi che gli Stati Uniti e l’Europa rimangano insieme”, il premier britannico si è offerto di fare da ponte tra le due sponde dell’Atlantico, tra l’Europa e Washington, sulle tante questioni che stanno aprendo una frattura enorme – commercio, libertà di parola, Ucraina – ma anche di mettere a disposizione truppe britanniche, “boots on the ground”, forze di pace da dispiegare nel paese qualora si raggiungesse un cessate il fuoco.  Sono le due proposte avanzate in un articolo sul Telegraph e in una serie sempre più fitta di dichiarazioni sulla via per Parigi a proposito di quella che ha definito una “sfida generazionale” per il paese. Con un tono di leadership che non sempre riesce a mantenere, soprattutto in politica interna, Starmer, che incontrerà il presidente statunitense Donald Trump la settimana prossima per discutere “un ampio ventaglio di argomenti”, secondo quanto confermato da Downing Street, ha spiegato che in ballo non c’è solo “il fronte ucraino, ma la linea del fronte dell’Europa e della nostra sicurezza nazionale”. 

 

Solo che il suo annuncio si scontra con un’incapacità materiale dell’esercito di dar seguito alle promesse, perché la spesa in Difesa è ferma al 2,3 per cento del pil e nonostante le promesse di portarla al 2,5 per cento, ancora non ci sono strategie definite. “Dobbiamo aumentare sia la capacità sia la spesa”, ha spiegato, rivolgendosi anche agli altri leader europei. Ma il governo laburista deve vedersela con una crescita anemica e con la promessa granitica di rispettare i vincoli di bilancio. Secondo il Sunday Times il premier sarebbe pronto a scavalcare la sua cancelliera Rachel Reeves e raggiungere presto l’obiettivo, che richiede una copertura di 5-6 miliardi di sterline, che non sarebbe comunque sufficiente perché, secondo il ministero della Difesa, ci vorrebbe almeno il 2,65 per cento, con un esborso di 10 miliardi di sterline.  In una dimostrazione di unità su un punto fondamentale per entrambi i grandi partiti, anche la leader dei Tory Kemi Badenoch, superata nei sondaggi da un Reform Uk tonicissimo al 25 per cento, ha ribadito il suo assoluto sostegno all’Ucraina e ha ammesso che allo stato attuale è impossibile aumentare le spese in difesa senza ripensare il welfare e ridurre il debito, visto che anche i conservatori ai tempi di Rishi Sunak ci hanno provato senza successo. Esperti militari fanno sapere che la difesa britannica al momento non è in condizione di offrire molto e che mobilitare una brigata di cinquemila uomini porterebbe ad assorbire circa il 70 per cento dei sistemi ingegneristici, lasciando scoperti altri fronti. 


Bisogna “assicurarsi che l’Europa e l’America stiano assieme”. I boots on the ground in Ucraina


Da Westminster sono arrivate voci e richieste di passare comunque attraverso un voto per qualunque iniziativa di dispiegamento di militari britannici, anche perché le parole di Starmer si portano dietro una serie di domande su quelle che potrebbero essere le regole d’ingaggio delle forze di pace, soprattutto qualora fossero oggetto di un attacco russo, se saranno solo forze di terra o ci sarà coinvolta anche l’aviazione. Lui ha ribadito come la sua non sia una decisione da prendere a cuor leggero, anche perché si tratta di mettere uomini e donne “sulla linea del pericolo”, ma “dobbiamo fare di più, dobbiamo accrescere la nostra risposta collettiva in Europa, e sto parlando di capacità e di fare pienamente la nostra parte in termini di sovranità dell’Ucraina se c’è un accordo di pace”, ha osservato, facendo presente come “il sostegno americano rimanga fondamentale e la garanzia americana sulla sicurezza sia essenziale per una pace durevole”. Parole che mantengono un po’ di ambiguità senz’altro costruttiva in vista della visita alla Casa Bianca della settimana prossima. Trump stesso ha detto che “avremo un incontro amichevole” perché “abbiamo un sacco di buone cose in corso”, ma la simpatia del presidente è sempre appesa a un filo, anche se i toni si sono fatti più concilianti da quando il presidente ha elogiato il “buon lavoro” fatto finora dal premier. 

 

Quello della settimana prossima sarà il loro primo faccia a faccia per “discutere di come approfondire la relazione speciale sul commercio, gli investimenti e la sicurezza”. I due si sono sentiti al telefono almeno tre volte e anche la settimana scorsa, durante un incontro con Mark Burnett, l’inviato speciale di Trump a Londra, mentre a Washington muove i suoi primi passi il neoambasciatore Peter Mandelson, nomina di alto profilo per sostituire l’eccellente Karen Pierce, che è riuscita in questi anni a mantenere un ottimo rapporto con gli imprevedibili trumpiani. L’idea di Mandelson, che ha ritrattato con grande clamore su Fox alcune sue critiche a Trump pronunciate anni fa, è di far valere il più possibile il fatto di “non essere Europa”, ma questo e molti altri punti fermi sono andati a infrangersi nel momento in cui il vicepresidente americano J. D. Vance ha preso la parola a Monaco la settimana scorsa, spiegando che “la cosa più preoccupante è che guardo ai nostri carissimi amici, il Regno Unito, dove l’arretramento rispetto al diritto di coscienza ha posto i diritti dei britannici religiosi, in particolare, in pericolo”, citando il caso dei manifestanti davanti ai centri dove si pratica l’interruzione di gravidanza. Un commento in linea con quelli, senz’altro più viscerali e più personali, che nei mesi passati Elon Musk ha riservato a Starmer su X. 


“Non possiamo permetterci divisioni nell’alleanza che ci distraggano dai nemici che abbiamo davanti”


Londra sta facendo di tutto per rispondere il meno possibile e mantenere il caratteristico aplomb. “Non possiamo permetterci divisioni nell’alleanza che ci distraggano dai nemici che abbiamo davanti”, ha aggiunto Starmer, che a cinque anni dalla Brexit sta cercando di usare uno dei pochi lati positivi che questa condizione ereditata presenti, nella speranza che questo porti a esonerare Londra dai dazi annunciati da Trump, anche se ciò significherebbe mettersi nuovamente in difficoltà con l’Unione europea alla quale sta cercando di riavvicinarsi in maniera pragmatica. La situazione internazionale gli sta offrendo un’opportunità di proporsi come terza via, visto che si sta creando uno spazio extra Ue che può includere anche Londra e Oslo, e Starmer ha cercato di insistere sui punti comuni, dicendo che “quello che gli Stati Uniti vuole ottenere è una pace duratura in Ucraina, e questo combacia perfettamente con quello che vogliamo nel Regno Unito, quello che vuole l’Ucraina e quello che vogliono i nostri alleati europei”. Una pace duratura, che “non sia solo una pausa per permettere a Putin di tornare”.  Per Starmer “ovviamente la questione immediata è il futuro dell’Ucraina e dobbiamo continuare a mettere l’Ucraina nella posizione più forte possibile, qualunque cosa accada dopo. Ma penso che ci sia anche una questione più grande qui e che non riguarda solo la linea del fronte in Ucraina”, ossia la questione “generazionale” della sicurezza collettiva e della difesa dell’Europa. Bisogna agire, seppur con ritardo, per evitare di finire, secondo la definizione di Wolfgang Münchau, come le “le Norma Desmond della geopolitica, convinte di essere ancora la star”. 

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