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Ansa
riflessioni
L'Europa contesa da wokismo e trumpismo è chiamata a riflettere su se stessa
La parole pronunciate da Vance a Monaco sono preoccupanti, ma impongono una analisi sull'Ue. E' urgente che gli europei ricomincino a pensare seriamente la guerra. Putin ci ha dimostrato è ancora una tragica possibilità, alla quale non ha senso contrapporre belle e vane parole
Era noto da tempo che Trump volesse approfittare della guerra in Ucraina per dare un colpo a un’Europa che non gli piace. Le trattative intavolate direttamente con Putin, scavalcando l’Unione europea, andavano chiaramente in questa direzione. Poi sono arrivate le parole del segretario americano alla Difesa Pete Hegseth a Bruxelles e quelle del vicepresidente James D. Vance a Monaco di Baviera ed è stato un vero e proprio choc. Il primo ha detto chiaramente che è “irrealistico” sia che l’Ucraina si riprenda i territori che erano suoi prima del 2014, sia che l’Ucraina entri nella Nato; ha detto inoltre che alla sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa deve pensarci l’Europa stessa e che gli Stati Uniti si concentreranno sul Pacifico, essendo la loro priorità quella di evitare una guerra con la Cina. Di passaggio faccio notare che questo brutale allentamento del legame tra Stati Uniti ed Europa potrebbe essere un grave errore strategico destinato a danneggiare entrambi. Ma tant’è. La strada intrapresa dall’Amministrazione americana sembra segnata con una certa chiarezza.
Più preoccupanti ancora sono state poi le parole di Vance a Monaco. Questi non soltanto ha ribadito che “l’Europa deve fare grandi progressi verso la capacità di difendersi da sola”, un argomento purtroppo, per noi europei, ineccepibile, ma è andato molto oltre, esplicitando in modo brutale ciò che non piace dell’Europa all’attuale Amministrazione americana: “La minaccia che mi preoccupa di più nei confronti dell’Europa – ha detto Vance – non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno. Quello che mi preoccupa è la minaccia dall’interno: l’arretramento dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America”.
Ma perché queste parole sono così preoccupanti? Secondo me, lo sono per due ordini di motivi: il primo è che, prese di per sé, esse sono tragicamente vere. Sebbene una certa ideologia woke abbia attecchito da noi molto meno che negli Stati Uniti, è innegabile che in questi ultimi decenni anche la cultura europea si sia fatta prendere la mano da pericolose “astrazioni”: catastrofismo ambientalista, ideologia gender, antioccidentalismo, moralismo politico e culturale, demonizzazione dell’avversario politico, solo per citarne alcune, col risultato di una progressiva erosione di ciò che di comune a tutti dovrebbe stare alla base di ogni pur virulenta dialettica democratica. Quanto all’Unione europea, essa ha dimostrato un’encomiabile determinazione a sostenere l’Ucraina (speriamo che duri), ma sul resto, dall’immigrazione alla difesa comune, non si può certo dire che abbia attuato politiche lungimiranti. Semplicemente non ne ha attuate.
Ha fatto dunque bene Vance a scuoterci? Non saprei, lo spero. In ogni caso, sta qui il secondo motivo che, secondo me, rende le sue parole molto preoccupanti: checché ne pensi il vicepresidente americano, non credo che l’Europa possa uscire dalle sue “astrazioni” abbracciando il trumpismo. Considero infatti quest’ultimo come l’altra faccia del wokeism. Detto in altre parole, da almeno un decennio a questa parte la furia della cultura woke ha contagiato l’intera scena pubblica americana, generando anche sul fronte repubblicano, vedi appunto Trump e il trumpismo, una reazione altrettanto brutale, che tende a ostracizzare, boicottare ed emarginare coloro che sono ritenuti colpevoli di azioni o parole non gradite. Con risultati devastanti sul tessuto socio-politico e culturale della società americana. Al ciarpame woke in termini di fanatismo discriminatorio per quanto riguarda gender, minoranze etniche o d’altro tipo si risponde con un vago patriottismo che non disdegna l’articolazione fanatica dell’interesse nazionale in termini di razza e di religione, pensando in questo modo, con l’aiuto di Dio, obviously, di restituire all’America la grandezza di un tempo. In entrambi i casi si assiste a un uso isterico del tema dell’identità; l’appartenenza a un qualsiasi gruppo, che si tratti di lgbt o di patrioti, sembra non abbia altro collante che la rabbia e il risentimento.
Detto questo, non escludo affatto che le parole rivolte da Vance agli europei possano avere un senso diverso da quello che hanno all’interno del trumpismo, anzi, lo spero, ma è presto per dirlo. Nel frattempo prendo per buona la sua assicurazione che Europa e Stati Uniti giocano “nella stessa squadra” e che gli Stati Uniti si preoccupano ancora per la sicurezza europea; prendo per buona anche l’idea che l’accordo va cercato tra Russia e Ucraina. Bisogna dire però che le parole di Trump circa l’eventualità che in futuro l’Ucraina possa tornare a essere “parte della Russia” sembrano andare in un’altra direzione.
Quanto a noi europei, mi auguro che quanto accaduto in questi ultimi giorni ci induca a riflettere seriamente su noi stessi, senza prendere in prestito gli argomenti dal trumpismo, certo, ma nemmeno rimanendo all’interno di quella cultura che del trumpismo è stata la principale incubatrice. In questo momento mi pare urgente soprattutto che gli europei ricomincino a pensare seriamente la guerra. Putin ci ha dimostrato che essa è ancora una tragica possibilità, alla quale non ha senso contrapporre belle e vane parole. Il fatto che il capo del Cremlino potrebbe averla vinta sarebbe infatti per l’Europa una gigantesca tragedia politica e culturale, tanto grande che ne risentirebbero di sicuro anche gli americani.
Sergio Belardinelli
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