(Ansa)

Cosa può fare di diverso l'Europa sbertucciata dai traditori illiberali dell'occidente

Giuliano Ferrara

Oltre che mettersi in mutande e prendere bacchettate la variante europea non fa. Raccontatela meglio, la favola della sovranità europea e dell’ambiguità strategica e del legame speciale. A chi tradisce l’Europa non si chiedono “garanzie di sicurezza”, ma si oppongono politiche combattive. 

Una combriccola di mascalzoni, truffatori, venditori di fumo travestiti da uomini di stato e portavoce del popolo e della pace, gentaglia dedita agli aspetti meno onorevoli del nobile commercio di umani e terre rare, candidati alla comminazione del premio Nobel e dell’Oscar dell’improntitudine, si è impadronita per la via più pericolosa, quella elettorale o plebiscitaria, del potere a Washington. Ora, mentre lavorano per smantellare la Costituzione americana e la divisione dei poteri, mentre prendono a bacchettate sulle dita gli alleati di quasi ottant’anni di storia transatlantica, vincitori con loro della Guerra Fredda contro il mondo sovietico, intendono molestare e umiliare un popolo coraggioso che da tre anni si batte per la sua sopravvivenza e identità politica, per la tutela di un pezzo di sovranità europea. Con un milione di caduti sul terreno. Con tre lunghi inverni al freddo, sotto minaccia di una potenza dieci volte superiore, male armati e sottoposti a linee rosse anti escalation debilitanti. Questi cosacchi hanno fatto per l’Europa più di Jean Monnet e soci, infinitamente più degli imbelli partecipanti al summit di Parigi che chiede ossequiosamente alla combriccola, riunita in Arabia Saudita con il tiranno di Mosca, “garanzie per la sicurezza”. Si ripete: garanzie per la sicurezza. Dopo un cessate il fuoco che sarà travestito da pace giusta e da recupero della prosperità mondiale, previa estrazione di terre rare a compenso degli stanziamenti in armi del Congresso di Washington e dei sostegni della presidenza Biden, verso un nuovo ordine mondiale caratterizzato dalla convergenza tra una democrazia illiberale occidentale e le grandi autocrazie euroasiatiche.

Nominate le cose per quel che esse sono, resta da capire se ci saranno una variante ucraina e una variante europea, in questo gioco in sé fragile, meschino, potenzialmente irrilevante, per deviare e invertire il corso della storia. Anzi, la variante ucraina c’è già stata. Si chiama Zelensky. Il presidente per caso che non accettò di essere trasferito in esilio negli Stati Uniti e chiese armi e munizioni per difendere la patria. Quando i russi, in assenza di deterrenza e consapevoli della condizione vassalla e mercificata della controparte europea, si erano pappati già la via di Kyiv con i loro carri e i loro galeotti e mercenari e puntavano all’en plein mentre lasciavano sul terreno le stragi di Bucha e la capitale al buio. Dunque una variante ci fu. E potrà manifestarsi di nuovo, come dimostra la poca voglia del presidente ebreo e attore comico di fare una danza yiddish al cospetto dei superpotenti d’Arabia. Nel tempo Zelensky è divenuto la testimonianza di un tentativo di riscossa occidentale ed europea, poi logorato e costretto a una specie di petulanza accattona dalla malmostosa inefficacia della volontà di potenza riluttante degli alleati occidentali, oggi sfidato a presentarsi alle elezioni come il presidente guerriero che ha perso il combattimento e che deve levarsi di torno, previa nuova bacchettata sulle dita, per fare largo ai soliti pupazzi che girano attorno alle cupole d’oro della Piccola Russia dai tempi del Maidan.  


Mentre da Bin Salman arriva il negoziatore dei fondi russi pronto a nuovi affari sulla pelle degli ucraini e degli ignavi che li hanno tenuti al fronte senza dargli la possibilità di vincere in loro stessa difesa. Quelli stessi che ora si fanno un vanto di riunirsi in vertice informale e straordinario, di dividersi tra resistenti a chiacchiere e mediatori a chiacchiere, e mentre mollano l’Europa dell’est e la credibilità dell’Unione e della Nato, mentre si apprestano a fare da corifei al ritorno della pace demoniaca, chiedono appunto garanzie di sicurezza, manco fossero tutti statuine di Chamberlain e Daladier. 

Manca la variante europea. Tutti forse pensano che sia il momento di non muovere le acque, di riflettere con ponderazione, di aggiustare un meccanismo che il bambino capriccioso e narcisista espressione dell’opinione pubblica maggioritaria in America ha spaccato e ridotto in pezzi. Forse molti sono inquieti per via di Vance e Peter Thiel, credono che i tech-ottimisti, alla Milei, abbiano la forza anche politica di imporsi a un mondo che non si riconosce più in sé stesso, in una storia predigitale, fatta di lezioni e libri, di trattati e ambascerie, di politica secondo la vecchia scuola, di aristocrazie del potere imperiale e del denaro e di patti che promuovono il progresso sociale e l’inserimento ordinato delle masse nello stato, che generano le istituzioni liberali della democrazia e le proteggono. Invece il bluff dei pokeristi di Washington e dei torvi potenti di Mosca va chiamato. La variante europea è in una leadership che si faccia avanti dicendo che, quando si stracciano i patti, i patti vanno considerati in disuso o rivisti, che se si gioca con le alleanze e sui confini di un’area come quella dell’Europa, liberi tutti. In casi come questi si convocano gli ambasciatori e si mobilitano le Forze armate, ci si intromette con simmetrica violenza nella politica americana o in quel che ne resta, si mandano segnali di combattività politica, si impegnano spese e armi, non si chiedono ai traditori di Europa e occidente garanzie di sicurezza. Questo lasciatelo fare a chi ha paura della propria ombra e affoga nell’ipocrisia. Il povero Starmer a Washington a farsi fare la ramanzina dall’amico di Musk, che lo vuole in galera per complicità in stupro. Ma raccontatela meglio, la favola della sovranità europea e dell’ambiguità strategica e del legame speciale. Germania, Regno Unito, Francia, perfino quella povera Italia che sopporta un vicepresidente del Consiglio con la maglietta di Putin, sputtanato da un sindaco di destra ai confini polacchi, possono fare qualcosa di diverso dal corteggiare un re nudo, sculacciato con la copertina di Forbes, mettendosi in mutande. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.