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Elon Musk e Donald Trump (Ansa)
La teoria del “governo unificato” di Trump alla prova della Corte suprema e i danni che potrebbe fare
Si rischia un serio arretramento democratico del sistema politico americano. La linea particolamente aggressiva del governo di oggi è dovuta anche alla fiducia in un sistema giudiziario che consente di smontare le agenzie senza autorizzazione del Congresso e di licenziare impiegati federali solo perchè la struttura del Doge "non sa cosa facciano"
Il confronto tra il primo mese di Trump in carica segna un contrasto stridente rispetto allo stesso periodo del 2017. E non è un tema di natura ideologica: anche allora c’erano estremisti di destra intorno a lui e certi pezzi della sua ideologia esprimevano un razzismo strisciante che si sarebbe concretizzato nel cosiddetto “Muslim Ban”. Ma a determinare la linea particolarmente aggressiva di oggi non c’è solo l’esperienza acquisita nel quadriennio presidenziale, la presenza di Elon Musk a cui delegare le azioni più dirompenti contro le agenzie governative federali e la dissoluzione di qualsiasi tipo di opposizione interna al Partito repubblicano. C’è anche la fiducia in un sistema giudiziario che è stato opportunamente modificato a suo tempo e che pertanto gli consente di smontare le agenzie senza autorizzazione del Congresso, di bloccare fondi già allocati dal Congresso e di licenziare indiscriminatamente impiegati federali soltanto perché la struttura del Doge “non sa cosa facciano”.
In particolare, Trump conta molto sull’affermazione a livello legale di un combinato disposto fatto di sentenze favorevoli e di conferma della costituzionalità di una teoria molto controversa, quella dell’esecutivo unitario, insieme ad alcune sentenze favorevoli, a cominciare da quella che riguarda il licenziamento di Hampton Dellinger, il capo dell’Agenzia del Consulente Speciale che si occupa di analizzare i reclami depositati dai whistleblower. Il diretto interessato ha fatto ricorso perché è stato confermato dal Senato lo scorso marzo. E quindi il suo licenziamento sarebbe illegale, perché la legge dice che i Consulenti speciali possono essere licenziati non a piacimento ma solo per “inefficienza e malversazione in atto pubblico”. Norma che viene contestata dall’Avvocata generale a interim Sarah Harris, che si occupa di seguire questo tipo di contenziosi per conto della Casa Bianca di fronte alle corti federali: citando il principio della separazione dei poteri, si legge nel ricorso, le corti federali stanno facendo “un assalto senza precedenti alla separazione dei poteri”. Harris poi aggiunge che “le Corti minori non devono sostituirsi all’esecutivo imponendo al presidente di mantenere un dirigente di agenzia contro il suo volere”. Proprio per questo ha chiesto e ottenuto una sentenza d’emergenza da parte della Corte suprema, che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni.
Sul tema però prima una corte distrettuale poi la Corte d’appello del circuito di Washington D.C. hanno dato ragione a Dellinger: il suo licenziamento è irregolare e pertanto va sospeso. Il panel in questione però era composto da due giudici nominati da Biden. Trump si aspetta ora che la Corte suprema gli dia ragione e lo fa contando su due precedenti: il primo è ovviamente Trump v. United States, sentenza del 1° luglio che conferisce al presidente non solo l’immunità legale nell’esercizio delle sue funzioni, ma anche la possibilità di agire in modo totalmente discrezionale “senza temere il giudizio dei tribunali”. A rafforzare la fiducia di Trump e dei suoi alleati poi, c’è un altro verdetto che ha fatto rumore, ma egualmente importante. Si tratta di Loper Bright Enterprises v. Raimondo. Nel testo firmato dal giudice capo John Roberts si rende incostituzionale la cosiddetta dottrina Chevron che, a partire da una sentenza del 1984, la Chevron v. Natural Defense Council, che faceva sì che in caso di controversie, l’interpretazione legale delle agenzie federali nei confronti di soggetti terzi fosse da privilegiare come corretta a prescindere. Basta fosse “ragionevole”, un termine vago che ha consentito agli enti del governo americano di acquisire nuovi poteri regolatori per circa un trentennio, caratteristica che sei giudici della Corte suprema hanno affossato.
Sommando i concetti contenuti in queste due sentenze, la Corte, in ossequio al precedente e fatti salvi cambi d’idea dell’ultimo minuto da parti di almeno due giudici conservatori, dovrebbe dare piena ragione al presidente. Che a quel punto sarebbe liberissimo di smontare il governo federale pezzo per pezzo. La controversa teoria del “governo unificato”, che conferisce un potere implicito immenso all’inquilino della Casa Bianca, a quel punto sarebbe legge di fatto. Il problema, come ha rilevato in passato il giurista d’orientamento libertario Ilya Somin, sarebbe un serio arretramento democratico del sistema politico americano. Certificato da una sentenza che si aggiunge alle decine di decisioni controverse degli ultimi anni, ottenute anche grazie alla nomina fatta da Trump di tre giudici conservatori alla Corte suprema tra il 2017 e il 2021.
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l'incontro con i giornalisti a kyiv