Per Mosca la diplomazia non porta la pace ma manda avanti la guerra. Fatti: dagli accordi di Minsk a oggi

Micol Flammini

Il talento negoziale russo, campione che servono alle sue necessità belliche, non per una pace che duri. “L’agenda di Putin è chiara: via le sanzioni, ripristino delle relazioni diplomatiche, libertà di interferire nella politica ucraina”. Meno chiara è quella della Casa Bianca, dice Gustav Gressel

Odessa, dalla nostra inviata. Durante i colloqui a Riad, gli Stati Uniti hanno chiesto ai russi di sospendere gli attacchi contro le infrastrutture energetiche dell’Ucraina. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha risposto che Mosca non avrebbe potuto fermare questo tipo di bombardamenti per il semplice fatto che non ne ha mai condotti. La notte stessa, la città di Odessa è stata presa di mira da un attacco intenso di droni che ha colpito le infrastrutture energetiche della città, rimasta in parte al freddo e al buio. Mascherare, coprire, mentire tanto apertamente da spiazzare è una delle tattiche usate dalla Federazione russa durante i negoziati ed è talmente abituata a farlo da lasciare la controparte sempre disarmata. Lavrov viene da anni di allenamento,  e la palestra del ministro degli Esteri russo spiega anche la foto in cui è stato ritratto il primo incontro delle delegazioni arrivate in Arabia Saudita: gli americani tesi da una parte – ognuno per le proprie ragioni – i russi sorridenti dall’altra, rilassati e abituati allo schema da usare con la controparte. 

  
In Ucraina c’è una certa idea diffusa di quanto Mosca sia brava a negoziare e prima ancora che il presidente americano Donald Trump decidesse di accelerare e scombinare tutte le certezze di Kyiv riguardo alla fine della guerra per cercare una pace giusta, alcuni analisti ucraini mettevano in guardia sulle tattiche negoziali russe che sono sempre le stesse, ma comunque efficaci. Un esempio su tutti ha mostrato negli ultimi  anni le abilità di Mosca: gli accordi di Minsk. La Russia ha trascinato Kyiv e l’occidente in un processo negoziale lunghissimo e sostanzialmente fatto appositamente per fallire. “Ci sono similitudini e differenze tra la situazione di oggi e quella del 2014 – dice Gustav Gressel, esperto di Russia e Difesa presso lo European Council on Foreign Relations – La differenza più grande è che all’epoca la Russia fingeva di non essere sul campo di battaglia, diceva di agire da mediatore in un conflitto che veniva presentato come una guerra civile. Fingeva di non essere parte attiva. Ora invece non nasconde di avere i suoi uomini dentro al territorio ucraino, di portare avanti una guerra totale con le sue bombe”.

 

Gli accordi di Minsk furono negoziati dopo l’annessione illegittima della Crimea da parte di Mosca e l’inizio del conflitto nella parte orientale del paese nelle oblast di Donetsk e Luhansk, dove gruppi di sedicenti separatisti rivendicavano la loro volontà di staccarsi dall’Ucraina. La guerra è stata lunga, sanguinosa anche se spesso nascosta sotto l’etichetta di “conflitto a bassa intensità” anche per volontà delle autorità di Kyiv che non volevano stravolgere e bloccare  la vita di tutto il  paese dichiarando la legge marziale. Mosca non soltanto riforniva di armi i separatisti, ma mandò anche i suoi uomini a combattere. Al tavolo dei negoziati che erano stati aperti in Bielorussia però pretendeva di essere esterna e presente soltanto in funzione di mediatore, di paciere. “I colloqui che portarono agli accordi di Minsk furono un teatro in cui Mosca studiava la reale volontà dell’occidente di aiutare l’Ucraina e cosa potesse ottenere. Era una Russia che non diceva apertamente di essere in guerra, in un certo senso aveva meno sicurezza in se stessa. Adesso invece rivendica la sua guerra aperta, la sua occupazione”.  Secondo Gressel a generare in Mosca questo indurimento dell’autostima sono stati vari fattori: la guerra in Siria, la gestione della pandemia e l’aver visto il ritiro dall’Afghanistan degli americani.  


Le immagini da Kabul che in Europa e negli Stati Uniti hanno generato confusione e spavento, al Cremlino sono entrate come se fossero l’arrivo di un lasciapassare da parte degli americani umiliati per intraprendere ogni azione di guerra in giro per il mondo. Vladimir Putin e i suoi funzionari sanno bene che la responsabilità del collasso afghano non è soltanto di Joe Biden, ma soprattutto di Donald Trump, autore di un accordo molto farlocco con i talebani. 


I russi oggi sono più sicuri dei loro mezzi rispetto al 2014 e ora che hanno iniziato a parlare con Washington della fine del conflitto in Ucraina lo sono ancora di più: “E’ vero non hanno preso Kyiv, ma hanno visto che l’occidente è stato in grado di contenerli, non di fermarli. Possono andare avanti”. Proprio come avvenne a Minsk, anche adesso Mosca prende le misure non tanto per la pace quanto per la guerra: “C’è un concetto totalmente opposto di diplomazia: per gli occidentali serve a garantire la pace, per i russi invece per preparare altra guerra”. Il negoziato è un momento di studio, non di risoluzione. E’ stato così a Minsk e continua a essere così a Riad. Vladimir Putin ieri ha confermato che incontrerà volentieri Donald Trump e deve aver gradito lo scambio poco da alleati fra il presidente americano e il capo di stato ucraino: martedì Trump ha detto che l’Ucraina non avrebbe mai “dovuto iniziare la guerra” e la percentuale di gradimento di Zelensky è “al 4 per cento” quindi delle elezioni, come vorrebbe la Russia, sono necessarie. Zelensky ha risposto che Trump vive in una bolla di disinformazione dominata dalla propaganda russa e ha fatto i conti di quanto gli Stati Uniti hanno speso per l’Ucraina e quanto dovrebbero riavere. Il capo della Casa Bianca ha deciso di rispondere attaccando  con violenza il suo omologo ucraino dicendo quello che probabilmente ha sempre pensato sul suo conto: “E’ meglio che Zelensky se ne vada in fretta o non avrà più un paese”, l’ha definito “comico mediocre” che ha manipolato Biden ma non farà lo stesso con TRUMP (le maiuscole sono del capo della Casa Bianca) perché i negoziati vanno avanti con successo. Lo scambio è feroce, nulla di meglio per il Cremlino. 


Mosca sa per cosa sta negoziando, Washington no: “L’agenda di Putin è chiara: via le sanzioni, ripristino delle relazioni diplomatiche, libertà di interferire nella politica ucraina”. Meno chiara è quella della Casa Bianca: “I russi sanno negoziare – dice Gressel – anche perché non hanno mai cambiato forma di potere. Sono gli stessi funzionari da anni e si comportano come se non dovessero essere loro ad adattarsi ai cambiamenti delle democrazie, ma sono le democrazie che devono adattarsi a loro. Adesso sono anche più fiduciosi perché hanno davanti un gruppo di negoziatori convinto che diplomazia voglia dire soltanto aprire nuovi McDonald’s”. Quello che dice Gressel su una Russia sempre uguale a se stessa e che aspetta che siano gli altri ad adattarsi trova riscontro anche nel racconto dell’ex ambasciatore americano a Mosca John J. Sullivan che nei suoi incontri con i funzionari russi nel 2022 trovò le stesse ossessioni che avevano riscontrato i suoi predecessori durante la Guerra fredda: militarismo; il leader forte necessario a un paese vasto; l’eterno torto storico; la paura dell’invasione e soprattutto l’idea inscalfibile che la realtà è qualcosa che si può piegare a seconda delle necessità del potere. Per Mosca la diplomazia è parte della guerra, si avvicina ai tavoli dei trattati come dealmaker, non come peacemaker. Per fare un accordo che serve alle sue necessità belliche, non per una pace che duri. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)