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(Ansa)
il ritratto
La lezione di Bolkestein contro gli auto dazi europei
Aprire il mercato interno si può. Storia del papà della famosa normativa sui balneari (e non solo) che ha promosso la libera circolazione dei servizi in Europa, affrontando le resistenze in Italia e le sfide nella sua attuazione. L'eredità della direttiva e gli sforzi per semplificare la normativa europea
Chissà cosa pensava il distinto signor Bolkestein del fatto che la sua direttiva fosse, in Italia, sinonimo di concorrenza selvaggia e ingiustizia sociale. Con esasperante acrimonia, sotto le bandiere “No Bolkestein” per anni ha sfilato qualsiasi recriminazione contro il mercato europeo e tutti i sindacati e partiti, da destra a sinistra, con poche individuali eccezioni. Ora che Frits Bolkestein è passato a miglior vita, è forse possibile parlare con più pacatezza di quel che ha fatto e ha rappresentato per l’Europa. La direttiva che porta il suo nome è uno dei pilastri su cui poggia il mercato unico, sulla base di un principio molto semplice e sensato: se è vero che l’Europa è uno spazio di libera circolazione dei servizi (una delle quattro libertà fondamentali), le imprese e i professionisti che hanno sede in uno degli Stati membri devono poter stabilirsi e operare ovunque, nel territorio europeo, senza restrizioni ingiustificate.
Da commissario europeo per il Mercato interno durante la Commissione Prodi (1999-2004), Bolkestein propose quindi una direttiva che consentisse ai servizi di circolare liberamente come era già per le merci. Per queste, le barriere interne erano state abbattute grazie a due decisioni fondamentali: l'eliminazione progressiva dei dazi commerciali intraeuropei e una storica sentenza della Corte di giustizia europea del 1979 (Cassis de Dijon), che stabiliva che, se un prodotto è consentito in uno Stato membro, dovrebbe presumibilmente essere consentito anche negli altri Stati membri, senza che le regolamentazioni nazionali possano restringere la concorrenza ai fornitori non nazionali. Bolkestein, da politico navigato e persona intelligente quale era, sapeva che la direttiva non avrebbe avuto buona accoglienza. Per quanto fosse, in realtà, semplicemente un’attuazione di un principio base dell’Unione, andava a toccare posizioni di rendita molto forti nel settore dei servizi, che nella più parte dei casi erano affidati o concessi (e prorogati) in via diretta. La reazione fu però brutale. L'opposizione iniziale venne dai sindacati, che temevano che la misura avrebbe portato a un abbassamento degli standard lavorativi. In larga parte ciò non era vero, poiché l'impiego transfrontaliero era già regolato dalla direttiva sui lavoratori distaccati. Tuttavia, questa argomentazione divenne un cavallo di Troia per radunare l’opposizione di qualsiasi tipo di operatore nazionale, dai servizi pubblici ai concessionari di spiagge. La battaglia divenne aspra. Le elezioni europee del 2004 segnarono il passaggio da Prodi e Bolkestein a José Barroso e Charlie McCreevy.
La direttiva fu approvata nel 2006, con importanti attenuazioni: venne ridotto il principio del paese d’origine, secondo cui un’impresa può operare in un altro paese dell’Unione secondo le regole del paese in cui ha sede, furono esclusi interi settori, in particolare i servizi pubblici non di rilevanza economica, ma anche i servizi finanziari e i trasporti. Pur ridotta, la direttiva Bolkestein è stata una delle fonti giuridiche che più ha contribuito a migliorare la concorrenza nel mercato interno, aprendo i mercati dei servizi e portando a un aumento del Pil che un lavoro del Joint Research Center, per conto della Commissione europea, ha stimato nell’ordine del 2,1 per cento entro il 2027. Se questo è il bicchiere mezzo pieno, il recepimento della direttiva in Italia e la sua eredità nella politica delle attuali istituzioni europee sono il bicchiere mezzo vuoto. In Italia, sono note le ostinate resistenze alla direttiva in alcuni settori, in particolare balneare e commercio ambulante, in spregio oramai anche a una giurisprudenza consolidata che pure ieri si è arricchita di una nuova sentenza (del Tar Liguria) a favore delle gare e dell’applicazione della Bolkestein. In Europa, la Commissione stessa, che ha il potere in via esclusiva di proporre le regole, si è ora accorta che in questi anni 20 anni l’Unione è diventata un normificio che impedisce la competitività e ostacola la concorrenza. Fa, cioè, il contrario di quello a cui sono servite direttive come la Bolkestein.
La Presidente Ursula von der Leyen sta quindi provando a correre ai ripari, cercando spunti dai rapporti di Mario Draghi e Enrico Letta e lanciando la Bussola della competitività. Molte delle proposte contenute in quei documenti riprendono la visione di Bolkestein. In particolare, Letta ha suggerito di introdurre un 28° regime normativo nell’UE e Draghi ha affermato che regolamentazioni eccessive equivalgono a un dazio autoimposto (secondo uno studio del FMI citato da Draghi, del 45% sulla manifattura e del 110% sui servizi). Anche la Bussola promette di “semplificare” la legislazione europea. Ma, alla fine, non c’è niente da inventare e tanto meno si può pensare di compensare la zavorra regolatoria con una spesa pubblica incontrollata. Riprendere il percorso da dove venne interrotto nel 2006, cioè dal dare piena attuazione al principio del paese d’origine, è il modo migliore di mettere a frutto l’eredità culturale e politica di Bolkestein.