Difendere Kyiv si può

Rassegna dei leader che contano tra i conservatori per non rassegnarsi alle vergogne trumpiane

Claudio Cerasa

Arriverà il momento in cui anche Giorgia Meloni dovrà dire che è inaccettabile definire Zelensky un dittatore, lavorare a un negoziato con la Russia umiliando Kyiv e trattare l’Europa come se fosse un insieme di stati canaglia. Alcuni esempi da seguire

Arriverà il momento in cui Giorgia Meloni parlerà, ne siamo certi, e arriverà il giorno in cui la premier italiana, che ha costruito parte della sua credibilità internazionale sulla difesa dell’Ucraina, avrà il coraggio di dire quello che in questi giorni e in queste ore non ha avuto il coraggio di affermare (cosa che non ha fatto ieri neanche nella nota firmata con il Canada). Ovverosia che è inaccettabile definire Zelensky un dittatore, che è inaccettabile lavorare a un negoziato con la Russia umiliando l’Ucraina, che è inaccettabile trattare l’Europa come se fosse un insieme di stati canaglia e che è inaccettabile vedere gli Stati Uniti avvicinarsi all’anniversario dell’invasione dell’Ucraina con l’atteggiamento criminale di chi considera la resistenza dei patrioti ucraini così fastidiosa da non aver problemi a rifiutarsi di firmare una bozza di risoluzione dell’Onu preparata in vista del 24 febbraio che sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina e condanna l’aggressione russa.

 

Arriverà quel giorno, ne siamo certi, e magari Meloni ci sorprenderà bacchettando Trump sabato prossimo, durante la riunione del Conservative Political Action Conference a cui è stata invitata insieme con molti trumpiani europei. Ma nell’attesa di quel giorno – tra metterci la faccia e perderci la faccia a volte è un soffio – per non rassegnarci alla presenza in giro per il mondo di tutte quelle destre che per non provocare Trump scelgono di sorvolare sull’umiliazione dell’Ucraina si può tentare di mettere insieme alcuni spunti offerti da quelle destre che nelle ultime ore, in Europa, hanno scelto di metterci la faccia, sull’Ucraina, per non perderla del tutto.

 

Donald Tusk, primo ministro polacco, della famiglia del Ppe, ha detto che “una capitolazione forzata dell’Ucraina significherebbe una capitolazione dell’intera comunità dell’occidente, e con tutte le conseguenze di questo fatto: nessuno faccia finta di non vederlo”. Friedrich Merz, candidato cancelliere della Cdu, ha detto, rispetto alle parole di Trump sull’Ucraina, che “si tratta di una classica inversione dei ruoli tra carnefice e vittima e quanto dichiarato corrisponde alla narrazione russa diffusa da Vladimir Putin”. Kemi Badenoch, leader dei Tory, ha ricordato che “Zelensky non è un dittatore, è il leader democraticamente eletto dell’Ucraina che ha coraggiosamente resistito all’invasione illegale di Putin, e noi conservatori siamo stati e saremo sempre al fianco dell’Ucraina”. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, esponente del Ppe, ieri ha annunciato che il 24 febbraio sarà a Kyiv per “riaffermare il nostro sostegno all’eroico popolo ucraino e al presidente eletto democraticamente Volodymyr Zelensky”.

 

Arriverà il momento in cui le destre europee troveranno il coraggio di non farsi travolgere dal Make Putin Great Again e in cui capiranno quello che ieri ha detto in modo creativo Boris Johnson, l’ex leader di un’altra destra europea, quella inglese, quella dei Tory, che meriterebbe di essere preso sul serio. Johnson ha criticato il presidente americano, ricordando che “i rating di Zelensky non sono del quattro per cento e in realtà sono più o meno gli stessi di quelli di Trump”, e ha però suggerito agli europei di porsi una domanda: “Quando si smetterà di scandalizzarsi per Trump e si comincerà a trovare un modo per finire la guerra?”. Per farlo, dice Johnson, ci sarebbe una via, tra le altre. L’anno scorso, per esempio, i diplomatici dell’Ue hanno concordato che il reddito derivante dai beni statali russi congelati in Europa potrebbe arrivare a circa 270 miliardi di dollari: che aspettiamo a usarlo per sostenere  l’Ucraina? Aiutare Kyiv, oggi, significa farle sentire il proprio sostegno, ovvio, ma anche essere pronti a tutto per evitare che il trumpismo raggiunga il suo obiettivo: lasciare l’Ucraina e l’Europa nelle mani di Putin e dei suoi utili idioti che hanno ricominciato a rialzare la testa in giro per il continente. Scegliere di non agire, oggi, significa già aver scelto da che parte stare. Che aspettiamo?

 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.