Kryvyi Rih dopo un attacco balistico (Foto LaPresse)

il racconto della nostra inviata

L'Ucraina dell'est che non si arrende

Micol Flammini

La parte orientale del paese, ricca e industriale, si è trasformata in distese di terra nera, fabbriche senza fumo, porti con le gru sospese in aria. Reportage da Kryvyi Rih

Kryvyi Rih, dalla nostra inviata. Nel 2014, uno studioso dell’Università di Birmingham immaginò come sarebbe potuto essere il futuro dell’Ucraina in caso di divisione del paese in due entità: una orientale e una occidentale. Il responso dell’articolo è che per quanto anche l’oriente avrebbe risentito molto di una separazione dall’occidente, a farne le spese sarebbe stata soprattutto l’Ucraina dell’ovest, agricola e dipendente nella maggior parte dei servizi da Kyiv. L’est avrebbe potuto contare sulle ricchezze del sottosuolo, sull’industria, sull’estrazione di risorse naturali, ma avrebbe avuto bisogno di una gestione migliore dell’economia. Non esistono due Ucraine, ne esiste una sola e mai è esistita una discussione sull’eventualità di dividere il paese in due entità, una orientata al mercato occidentale e l’altra a quello russo. Oggi a essere sfinita dalla guerra è soprattutto l’Ucraina dell’est che subisce l’occupazione, la pressione dell’esercito russo e ha visto la sua economia languire, l’industria bloccarsi, le miniere sbarrarsi di colpo. Parte della ricchezza del paese la fanno anche i porti, tre dei quali sono sotto occupazione: Melitopol’, Berdjansk e Mariupol. Kryvyi Rih non è mai stata celebre per le attrazioni turistiche, era più nota per l’aria malsana che si respirava per la produzione dell’acciaio. 

La cappa permane, ma la produzione è scesa di oltre il 20 per cento. Sotto la cappa, la gente che sceglie di vivere a Kryvyi Rih è sempre meno: la città è pericolosa a causa dei bombardamenti, meno redditizia e porta su di sé il fardello di essere la città di Volodymyr Zelensky. Al presidente in città molti si riferiscono con l’aggettivo “nostro”, naš, ed è credenza comune che i missili che Mosca non riesce a lanciare contro Palazzo Mariinskij a Kyiv, la residenza del presidente, li scarica su Kryvyi Rih, la città lunga e stretta, situata tra due fiumi, il cui sottosuolo contiene ferro e uranio. In profondità c’è ancora da scavare e da scoprire, ma la domanda frequente che a Kryvyi Rih si pongono e che per tutto l’est ha una pesantezza particolare: sfruttiamo pure la nostra terra, ma domani a chi apparterranno le nostre ricchezze? Chi le difenderà?

La pace non è un argomento tabù in Ucraina, in tanti la desiderano, nessuno si illude che durerà a lungo dopo un accordo con Vladimir Putin. Forse sarebbe onesto sostituire la parola pace con “riposo” oppure “attesa” ma, mentre si attende, bisogna assicurarsi nelle mani di chi verranno messe le risorse ucraine che Mosca in un futuro attacco proverà a raggiungere. La guerra di Putin non è legata solo alla ricchezza del territorio, l’obiettivo principale è sottomettere l’Ucraina, ma privare il paese delle sue risorse è parte della sottomissione: nei territori occupati Mosca per ora non sta sfruttando il territorio, lo ha distrutto. Quando Zelensky e la sua squadra iniziarono ad abituarsi all’idea che il prossimo presidente degli Stati Uniti sarebbe stato Donald Trump, hanno inserito in quello che è stato chiamato “piano per la vittoria” una serie di proposte che di fatto ha catturato l’attenzione del nuovo capo della Casa Bianca e portato poi alla crisi che si è aperta dopo la visita a Kyiv del segretario del tesoro, Scott Bessent, che ha messo sul tavolo un accordo per lo sfruttamento delle risorse che Zelensky non ha voluto accettare, perché avrebbe trasformato il paese in una terra estrattiva nelle mani di potenze straniere: in un salvadanaio e non in un partner. Poi è seguito lo scambio con Trump, l’accusa a Zelensky di essersi tirato indietro da un accordo già stabilito fino a quando Axios non ha fatto sapere che gli Stati Uniti stavano lavorando su un nuovo piano da presentare a Kyiv. 

Al di là delle proteste, l’Ucraina tiene molto a un patto con gli americani. E’ una questione di sicurezza, nella speranza che gli Stati Uniti, entrando negli affari ucraini, si interessino alla loro protezione, ma anche di potenzialità economiche. Kyiv ora non sa come far funzionare le sue ricchezze, ha bisogno di investimenti e anche di tecnologia per permettere, per esempio, lo sviluppo nei settori del petrolio e del gas. I consulenti che hanno aiutato Zelensky a stilare il Piano della vittoria hanno avvisato che sono settori che hanno bisogno di investimenti a lungo termine e moltissimo denaro. Lo stesso vale per tutta l’industria dell’est, molta sotto occupazione. 

Da 2014 a oggi, dall’analisi dello studioso di Birmingham al terzo anno dell’invasione totale contro Kyiv, la parte orientale del paese si è trasformata in distese di terra nera, fabbriche senza fumo, porti con le gru sospese in aria. Anche Kryvyi Rih è sonnolenta, ha smesso di lavorare soltanto all’inizio della guerra, quando vedeva le immagini da Mariupol’ e sapeva che se fossero arrivati i russi avrebbero distrutto tutto. Poi la produzione è stata riavviata e oggi la città si sente investita di un grande ruolo per il futuro: quando inizierà la ricostruzione dell’Ucraina ci sarà tanto bisogno della sua industria. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)