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L'editoriale del direttore

L'Afd e noi. Combattere il russobrunismo anche in Italia si può. Una guida

Claudio Cerasa

Il voto tedesco, a tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina, con l’avanzata (arginata) dell’AfD, specchio dell’unione degli estremi, di destra e di sinistra, a sostegno della vittoria strategica del putinismo. La libertà, in Europa come in Ucraina, è ancora un valore da difendere

Cosa tiene insieme il risultato delle elezioni tedesche e l’anniversario dell’invasione dell’Ucraina? Riavvolgiamo il nastro e arriviamoci un passo alla volta.  Sono passati tre anni dal giorno in cui un eroe di nome Volodymyr Zelensky ha scelto di non alzare bandiera bianca di fronte all’invasione di un criminale di guerra di nome Vladimir Putin. Sono passati tre anni esatti dal giorno in cui i patrioti ucraini hanno scelto di difendere il proprio paese per evitare che Putin riuscisse a fare in tre giorni quello che non gli è riuscito in tre anni e che forse non gli riuscirà neppure con tutta la buona volontà possibile del presidente americano Donald Trump. 

Sono passati tre anni dalla notte in cui l’esercito russo ha violato nuovamente i confini di un paese sovrano e tre anni dopo non ci poteva essere specchio migliore per osservare alcune patologie della nostra contemporaneità di quell’acronimo di tre lettere che ha catturato a lungo l’attenzione non solo in Germania, dove ieri si è votato, ma in tutta Europa: AfD, Alternative für Deutschland, che ieri alle elezioni ha raggiunto il suo record storico, intorno al 20 per cento. AfD non è solo un partito antieuropeista, euroscettico, xenofobo. E’ un partito, come ha notato il Wall Street Journal, che dietro il volto potenzialmente rassicurante di Alice Weidel, un’ex banchiera della Goldman Sachs fidanzata con una donna dello Sri Lanka, è diventato nel corso del tempo sostenitore di una teoria pericolosa: “German Race First”. I suoi ideologi, non a caso, sognano la rinascita di un Volk tedesco etnicamente puro. E non è un caso il fatto che vi siano esponenti di primo piano del partito, come Björn Höcke, che nel tempo si sono lamentati per la rappresentazione di Hitler come “assolutamente malvagio”. E non è un caso che vi sia stato un brutto ceffo di nome  Maximilian Krah, il candidato principale del partito per le elezioni europee, che abbia dichiarato pubblicamente che non tutti i membri delle SS, le truppe di morte d’élite di Hitler, avrebbero dovuto essere automaticamente considerati criminali. Così come non è un caso che molti politici dell’AfD abbiano trascorso anni a stringere legami con la Russia e la Cina, che le delegazioni dell’AfD abbiano compiuto pellegrinaggi ossequiosi a Mosca, che la signora Weidel abbia regolarmente tenuto incontri privati ​​presso la residenza dell’ambasciatore cinese a Berlino e che un assistente del sig. Krah, nell’AfD il più esplicito sostenitore di una stretta relazione della Germania con il regime cinese, sia stato arrestato un anno fa a Lipsia con l’accusa di spionaggio per la Cina. L’ascesa dell’AfD – che per fortuna, salvo sorprese, non arriverà al governo – è un termometro della capacità degli antiestremisti di saper combattere un estremismo così estremista da essere risultato indigesto in Europa anche agli estremisti che formano il gruppo dei Patrioti, da Orbán a Salvini a Le Pen, che l’AfD non l’hanno voluta nel proprio gruppo (anche se chissà quanto resisteranno). Ma l’AfD, a proposito di Ucraina, rappresenta lo specchio di qualcosa di ancora più importante, per l’Europa, ed è qualcosa di terribilmente contemporaneo che potremmo brutalmente definire russobrunismo: l’unione degli estremi, di destra e di sinistra, a sostegno della vittoria strategica del putinismo nel nostro continente. In questo senso, l’AfD, per molte ragioni, è un termometro della memoria, del ricordo, della capacità di essere con chiarezza dalla parte giusta della storia, di fronte all’evento più traumatico dei nostri tempi: l’aggressione ingiustificata di un paese sovrano, l’Ucraina, da parte di uno stato guidato da una leadership tirannica, dittatoriale, criminale, omicida, sanguinaria e terroristica, le cui gesta sono quanto di più simile al Terzo Reich sia mai apparso in Europa dal dopoguerra a oggi.

 

A prescindere dal consenso ricevuto ieri alle elezioni in Germania, non si può non riconoscere che il russobrunismo incarnato dal partito più estremista d’Europa sia drammaticamente contemporaneo, anche se non maggioritario in Europa, e sia drammaticamente lo specchio di una stagione politica, economica, culturale e strategica al centro della quale vi è una convergenza di fatto tra tre soggetti spaventosi: Donald Trump, Vladimir Putin ed Elon Musk. Non è in discussione, almeno non dovrebbe esserlo, la possibilità che il russobrunismo si impossessi della Germania, e un giorno dell’Europa. Quello che è in discussione è la capacità da parte di chi non si riconosce in tutti i princìpi in cui si riconoscono invece i nemici dell’Europa di saper osservare, monitorare e anche denunciare il mondo nuovo che ha di fronte, combattendolo politicamente, culturalmente, strategicamente, economicamente. Per farlo, però, non occorre solo riconoscere cosa vuole il nemico, ma occorre capire con chiarezza perché le tre stelle fisse della galassia antieuropeista hanno così tanti punti in comune quando parlano di pace, d’Europa, d’Ucraina, di Zelensky. C’entra il fatto che il modello di democrazia, di libertà e di pensiero libero rappresentato dall’Europa è un’anomalia pericolosa dinanzi agli occhi di chi sogna di vedere ristretti i confini delle democrazie liberali, per poter imporre il proprio credo autoritario. C’entra il fatto che, per i nemici d’Europa, avere un’Unione più unita, più compatta, più integrata e dunque più sovrana rappresenta un pericolo per chi vuole provare a dominare il mondo creando sempre più topolini e sempre meno elefanti. Ma c’entra prima di tutto il fatto che rimuovere il prima possibile tutto quello che l’Ucraina ha rappresentato in questi anni, umiliandola, sbeffeggiandola, maltrattandola, è un modo come un altro per provare a rimuovere tutto quello che i patrioti ucraini hanno difeso in questi tre anni di guerra, ribellandosi a un tiranno, ridando forza alla Nato, trasformando la Russia in uno stato paria e facendo uscire dalla comfort zone della neutralità paesi che storicamente hanno fatto del pacifismo imbelle un proprio punto di forza.

 

La storia dell’AfD è certamente una storia al centro della quale vi sono temi che non riguardano solo il sostegno non sempre popolare offerto dalla Germania all’Ucraina ed è certamente una storia al centro della quale vi sono temi che riguardano il governo dei confini, i limiti all’immigrazione, la ricerca di una soluzione alla crisi economica, la reazione alla transizione ecologica irresponsabile e non sono certo tutti nazisti gli elettori che hanno dato il proprio sostegno ai neonazisti dell’AfD (un partito xenofobo, antieuropeista, contrario all’aiuto dell’Ucraina, filoputiniano, nemico dei vaccini, nemico dell’euro, nemico dell’Ue, ad altissimo tasso di antisemitismo, pur rivendicando una simpatia per Israele). Ma la storia dell’AfD è interessante perché la sua sottovalutazione è il riflesso di tutto quello che rischia un’Europa popolata nuovamente di sonnambuli disinteressati a proteggere tutto quello che l’Ucraina ci ha aiutato a proteggere in questi anni: la nostra libertà. Il russobrunismo ha osservato in questi mesi la cavalcata dell’AfD con lo stesso spirito di chi è tornato a sognare l’avanzata in Europa di una dottrina politica trasversale in grado di trasformare l’Europa, e la sua “dittatura”, in un argine da abbattere per provare a tutelare la libertà di essere estremisti. Il tutto in un incredibile gioco di ribaltamento di ruoli all’interno del quale tutto ciò che ci ha permesso di difenderci dalla dittatura putiniana sulle timeline condivise di Trump, Musk e Putin è diventato improvvisamente tutto ciò che non permette al mondo contemporaneo di essere davvero libero.

 

Sono passati tre anni dal giorno in cui un eroe di nome Volodymyr Zelensky ha scelto di non alzare bandiera bianca di fronte all’invasione di un criminale di guerra di nome Vladimir Putin. In questi tre anni l’Europa, con dolore, con sofferenza, con ritardi, con contraddizioni, ha scelto di stare dalla parte giusta della storia, facendo il possibile, non purtroppo l’impossibile, per difendere non solo i confini dell’Ucraina ma anche i confini della nostra democrazia. La difesa dell’Ucraina ha ridato un senso a un famoso aforisma di Piero Calamandrei: “La libertà è come l’aria: ci si accorge quanto vale quando comincia a mancare”. L’aria, tre anni fa, è venuta a mancare, la libertà è diventata un valore da difendere e tre anni dopo combattere il russobrunismo – che in Germania per fortuna non è maggioritario – è un modo come un altro per difendere con la politica tutto quello che negli ultimi anni l’Ucraina ha difeso con il suo eroismo: semplicemente, la nostra libertà.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.