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Abdelhamid Dabaiba (foto Getty)
il volo segreto
Il viaggio segreto del premier libico a Roma per convincere il ministro Juma a tenere la bocca chiusa
L’affaire dei leak sulle trattative fra Tripoli e la Wagner sono un guaio per Dabaiba, che vola in Italia per incontrare il suo ministro ricoverato in una clinica privata dopo l'attentato a Tripoli il 12 febbraio scorso
Qualche minuto dopo le 16 di sabato scorso, l’Embraer Legacy 600 del premier libico Abdelhamid Dabaiba è atterrato all’aeroporto di Ciampino per una visita segreta. Due fonti confermano al Foglio che il premier si è recato all’European Hospital, una clinica privata sulla via Portuense. Lì, da cinque giorni, è ricoverato Adel Juma, il ministro libico sopravvissuto a un attentato a Tripoli il 12 febbraio scorso e che oggi è solo l’ultima in ordine di tempo delle preoccupazioni del capo del governo della Libia. Ma per capire il senso del viaggio di Dabaiba, di appena tre ore, occorre tornare indietro al 10 febbraio scorso.
Khalil Elhassi è un giornalista e scrittore che vive in Svizzera, molto seguito sui social perché condivide spesso documenti che svelano gli affari – piuttosto sporchi – di diversi leader libici. Il 10 febbraio Elhassi pubblica su X documenti che dimostrano la collaborazione avviata in segreto nel 2022 tra il governo di Tripoli e i mercenari russi della Wagner. Viaggi in Bielorussia, incontri tra ambasciatori, vertici con Evgenij Prigozhin. I documenti mettono sotto accusa Dabaiba e la sua famiglia, in particolare il nipote, Ibrahim Dabaiba, suo consulente considerato molto influente. L’accusa è che il premier abbia concesso ai russi il diritto di sorvolo dei cieli dell’ovest della Libia e l’utilizzo di alcune basi per scali logistici facilitando l’avanzata della Wagner nel Sahel. La fascinazione di Dabaiba per i russi era storia nota. Tuttavia, le trattative con Prigozhin non portarono a nulla di concreto e non sancirono l’alleanza che invece ha cementato le relazioni tra Mosca e l’est della Libia comandato da Haftar.
La “non storia” degli ammiccamenti tra Dabaiba e la Wagner diventa però un’esca propagandistica da sfruttare per Saddam Haftar, il figlio del generale della Cirenaica, Khalifa. Il blogger Elhassi riceve il materiale proprio da Saddam, che non vede l’ora di dimostrare al mondo di non essere il solo in Libia a fare affari con i russi. Secondo molti osservatori, a consegnare i documenti a Saddam è proprio Adel Juma, ministro per gli Affari interni di Tripoli. Fino a qualche settimana prima, il suo nome era di secondo piano ma ora i leak lo portano in cima ai problemi di Dabaiba. Per qualche tempo Juma si era ritagliato il ruolo di mediatore tra est e ovest finché, a gennaio, Farhat Bengdara si dimette da ceo della National Oil Company che gestisce le enormi ricchezze petrolifere del paese. Juma vuole prenderne il posto, ma nonostante i suoi sforzi per perorare la propria candidatura, né Haftar né Dabaiba lo sostengono. Scaricato da entrambi, Juma decide di vendicarsi dimostrando di essere a conoscenza di segreti pericolosi. Nasce così l’idea di trafugare i documenti sulla Wagner.
Due giorni dopo i leak, il 12 febbraio, Juma è vittima di un attentato da parte di un gruppo di uomini armati di Ak-47. La dinamica dei fatti è oscura. Se il governo libico parla di un agguato contro l’auto su cui Juma viaggiava lungo una strada di Palm City, il quartiere dei ministeri e delle ambasciate di Tripoli, un’altra versione dice che il commando avrebbe fatto irruzione nel suo ufficio. Una raffica di colpi lo raggiunge alla gamba. Juma sopravvive e viene ricoverato prima a Tripoli e poi a Roma, dove è trasportato il 19 febbraio. Il governo italiano dimostra una certa attenzione per il caso. Il giorno stesso dell’agguato, è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, a parlarne di sua sponte ai cronisti a margine di una serie di domande sui casi Paragon e Almasri: “E’ singolare che proprio oggi si inseguano cose che stanno a metà tra la fiction e le calunnie e ci si interessi così poco, per esempio, del grave ferimento avvenuto a Tripoli di un ministro del governo libico, Adel Juma che descrive una situazione veramente difficile e complessa”.
I sospetti sui responsabili dell’agguato convergono su Ibrahim Dabaiba, il nipote del premier, considerato un giovane impulsivo. Secondo fonti sentite dal Foglio, nei giorni in cui subisce altri due interventi chirurgici nella clinica di Roma, Juma medita di presentare una richiesta di asilo politico all’Italia. Vorrebbe sfuggire alla condanna a morte che pende sulla sua testa a Tripoli, ma allo stesso tempo teme per le sorti della sua famiglia rimasta in Libia. Con una mossa irrituale, il giorno dopo l’arrivo di Juma in Italia, l’ambasciatore americano in Libia, Richard Norland, fa visita alla moglie e ai figli del ministro. La foto dell’incontro e il messaggio di solidarietà del diplomatico, pubblicati su X, somigliano a un avvertimento per convincere i Dabaiba a deporre le armi.
Il premier, che aveva rischiato gli effetti disastrosi di un eventuale arresto di Osama Njeem, noto come Almasri, comandante della polizia penitenziaria di Mitiga, ora rischia la defezione di un ministro. “Juma conosce tanti segreti di Dabaiba e dei suoi affari. Ha paura anche per la propria vita”, spiega al Foglio una fonte libica. Per questo motivo il presidente vola a Roma per convincere Juma a tacere, tornare a Tripoli e a non unirsi all’opposizione. Due sono le forze ostili a Dabaiba e che sono una tentazione per il ministro: una è Saddam Haftar e l’altra è Abdel Ghani el Kikli, noto come Gnewa. E’ il comandante dello Stability Support Apparatus e, secondo le accuse di ong e organizzazioni internazionali, contende a Dabaiba il controllo di numerosi traffici lungo la costa occidentale del paese, non ultimo quello dei migranti. Entro la settimana, Juma dovrebbe fare rientro in Libia e si vedrà se l’opera di persuasione di Dabaiba gli avrà evitato altri imbarazzi.
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