Più Merz, meno Trump

Luciano Capone

Dazi, immigrazione, politica industria, difesa comune. Per tutelare l’interesse italiano, Meloni può costruire un'intesa politica con il cancelliere tedesco (invece di rincorrere il presidente degli Stati Uniti)

L’intervento al Cpac di Giorgia Meloni è stato l’estremo tentativo di tenere insieme la destra europea, o quantomeno italiana, con quella americana. La premier italiana ha mantenuto salda la sua posizione sull’Ucraina (“dove un popolo orgoglioso combatte per la sua libertà da una brutale aggressione”), ma senza affrontare le divergenze di fondo con le posizioni di Donald Trump, bensì ricorrendo alla mozione degli affetti: l’espediente retorico che richiama all’unità attraverso i sentimenti (“L’Occidente non può esistere senza l’America, ma non può esistere senza l’Europa”), scaricando le colpe sugli avversari (“La sinistra ci vuole dividere... in nostri avversari si augurano che Trump si allontani da noi...”). 

 

La mozione dei sentimenti è durata pochissimo: ieri nella risoluzione dell’Onu sostenuta dall’Ue che, a tre anni dall’invasione russa, ha ribadito la condanna dell’aggressione all’Ucraina e la sua integrità territoriale, gli Stati Uniti hanno votato contro insieme alla Russia. Non è stata la sinistra radicale a dividere gli Stati Uniti dall’Europa, ma Donald Trump. Di questo è apparso pienamente consapevole Friedrich Merz, il prossimo cancelliere tedesco: “La mia assoluta priorità sarà rafforzare l’Europa per raggiungere l’indipendenza dagli Stati Uniti”, ha detto il leader di centrodestra dopo la vittoria elettorale.

  

Parlando alla platea conservatrice del Cpac, Meloni ha descritto un’Europa ancora dominata dalla sinistra radicale, dall’ideologia woke, dalla cancel culture, aperta all’immigrazione senza limiti... Ma non è più una descrizione della realtà. Quell’Europa, se mai è esistita, di certo ora non c’è più. Friedrich Merz rappresenta la guida più a destra della Germania degli ultimi decenni. Per riaffermare un legame politico con gli Stati Uniti di Trump e di J. D. Vance, Meloni al Cpac ha dovuto puntare sui valori rimuovendo dal suo discorso l’economia, liquidando il tema dei dazi con un “non abbiamo bisogno di sottolineare quanto uno scontro commerciale farebbe l’interesse di altre potenze commerciale”. Il punto è che per lottare contro l’ideologia woke e la cancel culture, o per difendere il free speech minacciato dalla sinistra, il governo italiano non ha bisogno di Trump. Sono questioni interne che Meloni può affrontare da solo.

  

Il rapporto con Merz, invece, sebbene meno nelle corde della destra di FdI, sarebbe per Meloni molto più proficuo perché si fonderebbe su politiche e interessi comuni. Non si tratta semplicemente di costruire una relazione meno fredda rispetto a quella con il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, ma di scrivere un’agenda politica comune per riformare e ridefinire l’Europa. Alla base ci sono gli interessi economici di Italia e Germania e una visione più conservatrice rispetto alla precedente leadership tedesca ed europea in generale. Le affinità sono evidenti su alcuni dei dossier più importanti per l’Europa: immigrazione, dazi, politiche industriali e ambientali, difesa. Sull’immigrazione Merz da sempre chiede una stretta. Sui dazi, la Germania e l’Italia sono i paesi più colpiti protezionismo di Trump: insieme, Roma e Berlino, rappresentano l’80 per cento del deficit commerciale degli Usa con l’Ue. Pochi giorni fa, Trump ha annunciato dazi del 25 per cento su automobili e farmaci. L’export farmaceutico dell’Italia negli Usa è circa 10 miliardi di euro. L’automotive rappresenta circa 40 miliardi di export Ue negli Usa e, secondo le stime di Oxford Economics, Germania e Italia sono le economie più esposte ai dazi con un calo dell’export rispettivamente del 7,1 e del 6,6 per cento. Coordinare una risposta con Merz, fatta anche di ritorsioni, è più saggio che chiedere a Trump la clemenza per l’Italia: operazione tra l’altro impossibile, perché l’industria italiana è intrecciata a quella tedesca per la fornitura di beni intermedi.

  

Sulla politica industriale Merz, analogamente a Meloni, vuole rimuovere il divieto europeo ai motori a combustione previsto per il 2035 e ridurre la regolamentazione, anche ambientale, che aumenta il costo dell’energia e mina la competitività dell’industria. Insomma, è una sponda importante per orientare la Commissione guidata da Ursula Von der Leyen (che è dello stesso partito di Merz) verso una revisione del Green deal. Quanto alla difesa, l’intenzione di Merz di rendere l’Europa in tempi brevi autonoma da Washington apre alla possibilità di un finanziamento comune a livello europeo, che farebbe comodo a un paese ultraindebitato come l’Italia.

  

 Merz parla più spesso di Francia e Polonia ma, rispetto all’Italia, un mese fa ha fatto un’importante apertura a Meloni: “Non capisco le riserve nei suoi confronti – ha detto a Davos –. E’ molto pro-europea, è molto chiara nella sua posizione nei confronti dell’Ucraina e della Russia ed è molto chiara sull’ordine basato sulle regole dell’Unione europea. Perché non parliamo con lei più spesso di quanto abbiamo fatto in passato?”. Ecco, forse Meloni più che tentare di blandire Trump con un richiamo all’ideologia, dovrebbe preparare con Merz una risposta basata sugli interessi europei, e quindi italiani.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali