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alternative a sinistra

La danese Mette Frederiksen e un'idea di sinistra per un varco fra Trump e Putin

Paola Peduzzi

Com’è che in Danimarca vincono i liberal in un mondo che va a destra, destra populista? Il metodo della premier danese 

“Il mondo sembra parecchio inquieto? Sì. C’è qualche ragione di credere che finirà presto? No”, ha detto la premier danese, Mette Frederiksen, annunciando nuovi investimenti nella difesa, scandendo “comprare comprare comprare” e dicendo ai capi della difesa: “Se non possiamo avere l’equipaggiamento migliore, comprate il secondo migliore, c’è soltanto una cosa che conta oggi, ed è la velocità”. Frederiksen, che guida un governo socialdemocratico dal 2019, ha l’urgenza calma di chi riconosce l’emergenza – l’America che vuole invadere la Groenlandia, la Russia che ha già invaso l’Ucraina e minaccia l’Europa – ma vuole gestirla, senza utilizzare ogni occasione per posizionarsi (senza strategia) contro Donald Trump e senza cedere al piagnisteo, grande tentazione europea, e allo scetticismo nei confronti del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, “un leader europeo straordinariamente capace” che ha combattuto “ogni singolo giorno per la pace, la libertà e la sicurezza dell’Europa, e quindi anche per la sicurezza dell’America”. 

Il governo danese – che, per i contributi dati in proporzione al pil è il secondo sostenitore globale dell’Ucraina dopo l’Estonia – ha annunciato la creazione di un fondo da 6,8 miliardi di euro per il periodo 2025-2026, portando la spesa complessiva per la difesa al 3 per cento del pil e Frederiksen ha detto in Parlamento che il suo paese attraversa “la situazione più pericolosa della sua esistenza, peggio della Guerra fredda”. L’allarme è grande, ma il metodo di questa premier socialdemocratica, 47 anni e leader di un partito che insieme a lei si è completamente restaurato, è schietto e determinato, ma allo stesso tempo tranquillo: se Trump alza la voce – e lo fa sempre, lo ha fatto anche con lei, in una conversazione telefonica che diplomaticamente è stata definita “orrenda” – Frederiksen fa un tour nelle capitali europee per sondare i volenterosi, chiede che non ci siano clamore né promesse immantenibili, ma ribatte colpo su colpo alle pretese espansionistiche di Trump, così come a quelle di Vladimir Putin, “che vuole decidere del futuro degli europei, e bisogna impedirglielo”. 

Nel mosaico europeo di leader e di partiti al governo, Frederiksen ne guida uno di sinistra solido: David Leonhardt, giornalista veterano del New York Times che oggi cura la newsletter quotidiana “Morning” e che da sempre studia il sogno americano e l’immigrazione, ha pubblicato un saggio che risponde alla domanda: com’è che in Danimarca vincono i liberal in un mondo che va a destra, destra populista? Leonhardt ha incontrato la premier danese, era appena rientrata da una visita in Ucraina (la quinta: lunedì, in occasione del terzo anniversario dall’inizio dell’invasione russa, era di nuovo a Kyiv, senza tentennamenti: è qui che tutti dobbiamo stare), e ha descritto le sue riforme, “la lista dei desideri di un think tank di sinistra”. La riforma delle pensioni per cui gli operai vanno in pensione prima dei professionisti, la legge contro la speculazione edilizia (ribattezzata “legge Blackstone”), la prima tassa al mondo sul carbonio e il 15 per cento dei terreni agricoli destinato a ricostruire l’habitat naturale degli animali selvatici, la possibilità di abortire entro 18 settimane dall’inizio della gravidanza, il tutto salvaguardando il celebre welfare che comprende l’istruzione gratuita, l’assistenza medica gratuita, i sussidi alla disoccupazione, senza annichilire il tessuto imprenditoriale: la Novo Nordisk, che produce il farmaco Ozempic, è danese.

La grande eccezione, rispetto alle sinistre, è la linea dura sull’immigrazione – “c’è sempre un prezzo da pagare quando troppa gente arriva in una società”, dice la premier al giornalista, e questo prezzo non lo pagano i ricchi, lo pagano sempre i più poveri – che le ha causato grandissime critiche nel mondo socialdemocratico, che soltanto da ultimo ha iniziato a studiarne, se non a comprenderne, le ragioni. Leonhardt si concentra su questo aspetto, ma puntella la sua lunga analisi anche con il rapporto che il governo danese ha con il resto dell’Europa, e con i suoi avversari. Nell’allocazione delle risorse, che è poi espressione delle priorità, c’è l’urgenza della difesa, della volontà di riprendere i fili valoriali e concreti che tengono insieme gli europei, ancor più ora che in America c’è un presidente che vuole competere e non collaborare con l’Europa, e a est ci sono i russi e i cinesi, minacce esistenziali. Da questa settimana comincerà ad arrivare a Kyiv l’ultima tranche dei 19 jet F-16 promessi dalla Danimarca, perché il mondo è inquieto ma non è finito, la sfiducia nell’America pesa,   “vedo che molti pensano che una pace ora o un cessate il fuoco siano una buona idea, ma corriamo il rischio che questo tipo di pace sia più pericoloso della guerra in corso”. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi