(Ansa)

allo studio ovale

Le mirabili sberle di Zelensky a Trump

Paola Peduzzi

Il presidente americano, assieme al suo Vance, s’offende e si imbizzarrisce di fronte alla fermezza del presidente ucraino che non svende il suo paese e non si fida di Putin. L’orgoglio occidentale di Zelensky

Il primo incontro tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump, alla Casa Bianca, è cominciato con i sorrisi all’ingresso e la promessa di firmare l’accordo sullo sfruttamento delle risorse ucraine ed è finito con una lite davanti ai giornalisti, un processo al presidente ucraino, in diretta, durissimo e inedito, con Zelensky che teneva il punto, coraggioso, fiero e preciso – di Putin non ci si può fidare – e un post del presidente americano in cui diceva: Zelensky non vuole la pace, si ripresenti qui quando la vorrà. La sala per la cerimonia della firma è rimasta vuota, l’auto del presidente ucraino è arrivata davanti alla Casa Bianca, la conferenza stampa prevista è stata annullata: Trump ha cacciato Zelensky l’irriconoscente.  

  

La conversazione era cominciata con il presidente americano che elogiava il proprio ruolo di “peacemaker”, con il solito copione sul suo voler salvare il mondo da una Terza guerra mondiale, ma a un certo punto, complice l’intervento del vicepresidente J. D. Vance seduto in prima fila che vista con gli occhi di poi è sembrato più un’imboscata, Zelensky è stato accusato di essere un ingrato, irrispettoso dello sforzo americano per aiutarlo (e pure incapace di mettersi un abito e la cravatta) e destinato a perdere la guerra perché irriconoscente. Il punto di rottura è arrivato quando Zelensky ha detto che un cessate il fuoco con la Russia non è sufficiente, perché Vladimir Putin ha già violato accordi simili “25 volte” in passato. Trump ha detto “non quando c’ero io”, e Zelensky ha giustamente insistito: c’eri anche tu quando Putin ha spezzato gli accordi presi, e il presidente americano ha cambiato espressione, è diventato torvo e scocciato. Zelensky ha continuato a spiegare che cosa è successo nel passato, il fatto che il presidente russo è un assassino, che le regole della guerra prevedono che chi aggredisce, chi vìola le regole, poi deve pagare. Trump ha continuato a dire di voler “risolvere” la questione, di non voler parlare male di Putin, perché l’America “è in mezzo, io non sto con l’Ucraina o con la Russia, io sto con l’America”, ha detto, ribadendo che vuole rientrare dell’investimento fatto in una guerra che, se lui fosse stato presidente, non sarebbe nemmeno cominciata. Zelensky ha insistito, il suo orgoglio risoluto è risultato imperdonabile: quel che per il presidente ucraino significa non svendere il proprio paese per l’Amministrazione americana è oltraggio, mancanza di rispetto e di una volontà di pace. 

  

Con una fermezza ammirevole, Zelensky ha detto che gli ucraini sono i primi   a volere la pace, che è Putin “che non si fermerà, perché ci odia”. “Non riguarda me questo odio – ha detto Zelensky – lui (Putin) odia gli ucraini, pensa che non siamo una nazione, ha detto a molti europei, forse anche a voi, non lo so, che l’Ucraina non è una nazione, che non esiste il nostro paese: non rispetta gli ucraini, ci vuole distruggere tutti”. Poi, dopo uno scambio sulla Nato e gli europei, altri ingrati – lo ha ribadito pure Marco Rubio, il segretario di stato, anche lui seduto in prima fila – è intervenuto Vance, ed è precipitato tutto. Il vicepresidente americano ha detto che soltanto la diplomazia può salvare l’Ucraina, che l’Amministrazione precedente, di Joe Biden, ha voluto trascinare tutti quanti in un conflitto lungo perché si è rifiutato di parlare con Putin, e che ora invece che puntualizzare e insistere, Zelensky avrebbe dovuto ringraziare che c’è Trump. Il presidente ucraino ha insistito di nuovo, ricominciando dall’inizio, dal 2014, dalla prima invasione e dal fatto che per otto anni ogni accordo fatto con la Russia è stato violato. Di fronte ai fatti, detti con semplicità e coerenza, Vance ha detto: “Presidente, credo che sia irrispettoso da parte sua venire qui nello studio ovale e cercare di contestarci davanti ai giornalisti. Dovrebbe al contrario ringraziare il presidente che cerca di far finire questa guerra”. Vieni in Ucraina a vedere cosa è successo, ha risposto Zelensky, “ci sei mai venuto, sei mai stato in Ucraina?” (la risposta è no). Porti le persone al fronte in “tour di propaganda”, ha detto Vance, trasformando in un’unica frase la testimonianza degli orrori russi in propaganda, e discutendo dei tanti problemi che ha l’esercito ucraino, primariamente quello del capitale umano, torcendo ancora una volta la realtà: sono soltanto gli ucraini che muoiono per difenderci tutti. 

    

Zelensky, per nulla sventurato, ha risposto di nuovo: “Durante una guerra, tutti hanno problemi, anche voi, ma siccome avete un bel mare di mezzo non li sentite, ma li sentirete in futuro”. A quel punto è intervenuto Trump: “Tu non lo sai cosa sentiamo, non venirci a dire cosa sentiamo, non sei nella posizione di dettare le regole”. La voce era già più alta, sempre di più: “Non sei in una buona posizione, ti sei messo in una posizione molto brutta, non hai le carte giuste in questo momento. Se ci siamo noi, inizierai ad averle, le carte”. Zelensky ha detto che non si tratta di giocare a carte, “sono molto serio, molto serio”. E di nuovo, l’invettiva di Trump: “Stai giocando con le vite di milioni di persone, stai giocando con la terza guerra mondiale, e quello che stai facendo è molto irrispettoso per questo paese, che ti ha sostenuto” – il presidente americano ha alzato ancora di più la voce. Poteva finire qui, ma Vance non si è lasciato sfuggire l’occasione di un’imboscata umiliante, e ha chiesto a Zelensky: “Hai detto grazie una volta, una volta, in questa conversazione?”.

    

Ci saranno migliaia di video e comunicati del presidente americano che ringrazia l’America, l’ha fatto appena prima di entrare alla Casa Bianca, lo ha fatto anche quando le armi arrivavano con ritardi di mesi che lui misurava, e misura, in numero di morti. “Il tuo paese è in grande difficoltà – ha detto Trump – il tuo paese è in grande difficoltà, non state vincendo”, e ha rinfacciato i soldi dati dall’America, il fatto che senza l’aiuto americano la guerra sarebbe stata perduta dall’Ucraina in “quindici giorni”, “tre giorni come dice Putin”, ha ribattuto Zelensky, “anche meno”, ha risposto Trump. Da quel momento in poi è stato tutto irreparabile, Trump e Vance hanno accusato il presidente ucraino di essere ingrato, non gli hanno più permesso di parlare, e il presidente americano ha iniziato a ciarlare dell’inettitudine dei suoi predecessori democratici (e di Hillary Clinton), “Obama non ti ha dato un cazzo e io ti ho dato i javelin”, e poi tutti gli argomenti della propaganda trumpiana, il figlio di Biden Hunter, il suo laptop, i russi accusati ingiustamente di ingerenze. E poi ancora rivolto a Zelensky: “Ti ho rafforzato, ho fatto in modo che tu fossi un duro, ma senza gli Stati Uniti non saresti un duro”, e l’ultimatum: “O firmi o sei fuori”. L’incontro è finito, Trump offeso ha rilasciato un comunicato sull’ingratitudine di Zelensky, sull’aver compreso la sua vera natura, sul fatto che non vuole la pace. Zelensky ha lasciato la Casa Bianca, nello choc generale: tutto l’occidente, senza Trump, ha dato la sua solidarietà a questo leader coraggioso e fiero, che soltanto gli amici di Putin possono considerare umiliato. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi