Vladimir Putin e Donald Trump (LaPresse)

L'Europa non risponde

Mentre si piange la fine dell'occidente, nessuno ha detto a Trump un semplice “no”

Giuliano Ferrara

Nessun europeo che conti si è pronunciato con fermezza sostenendo le ragioni di Zelensky. Di qui l’escalation dell’onnipotenza e la logica umiliante a cui si sono sottoposti gli alleati traditi del Caudillo globale

Trump è in piena escalation verbale, diplomatica, politica, d’immagine. Perfino una evidente satira della “sua” Gaza ricostruita in oro luccicante è stata considerata, forse anche da lui o dai suoi uffici che l’hanno rilanciata, come una distopia che racconta un mondo nuovo, casinò e balli con le cortigiane, cocktail e balli sensuali a bordo piscina tra palestinesi in livrea e statue in oro del dittatore e liberatore con le banconote a portata di mano, una specie di Kim Il Sung del medio oriente, al posto delle tragiche realtà di una guerra durissima e della prospettiva della ricostruzione di uno sbocco postbellico. Sono settimane che questo grandissimo impostore e bugiardo prende a schiaffi gli interlocutori europei e l’Ucraina e Zelensky personalmente. Commentatori autorevoli e austeri del Financial Times, e occasionalmente del Wall Street Journal, si mostrano costernati. Dicono e scrivono senza timori che il Rubicone è stato varcato e il tradimento è stato perpetrato. 


Non è una febbre loquace e latina che porta a concludere per la fine dell’occidente, per l’addensarsi di un superpotere ai limiti della crisi costituzionale negli Stati Uniti, per l’impiego di categorie in apparenza moralistiche come umiliazione, tristezza, di fronte a come il presidente americano impazza con le parole, con i voti all’Onu, nella sua sindrome di tradimento e rinnegamento di alleanze che avevano retto a decenni di storia atlantica. Prendendo le parti di Putin con toni smargiassi e irridendo apertamente le ragioni di stati e governi che hanno sostenuto la resistenza ucraina in accordo e coordinamento con gli Stati Uniti, estorcendo – se ce la farà – un accordo capestro sulle risorse minerarie a un presidente ucraino escluso da un ombrello difensivo che è stato per tre anni la base del drammatico opporsi di un popolo al prepotere di una aggressione e a  un atroce carnaio, Trump santifica sé stesso, la sua presunta onnipotenza, la beffarda parabola di uno strapotere. Il problema è che lo fa senza una sia pur minima elementare forma di opposizione.

Tutti a scrutare il comportamento dei governi europei, ora Macron ora Starmer ora Meloni, tutti a interrogarsi sul significato effettuale di guarnigioni britanniche o francesi da piazzarsi come garanzia a ottanta chilometri dal fronte nell’eventualità di un accordo di cessate il fuoco, magari sotto la fatale bandiera Onu e sempre con l’accordo preventivo del Cremlino di cui la Casa Bianca si fa garante, tutti a contendersi il primato della mediazione che salva teoricamente l’onore e la sicurezza dell’Ancien Régime, tutti a domandarsi se ci sarà una copertura americana di terra o di cielo, tutti a osservare i consensi (pochi) e i contrasti (molti) fra le capitali europee su come dare manforte al progetto di spartizione dell’Ucraina e di abbattimento del suo presidente e della sua credibilità, ma beninteso chiedendo “garanzie” agli spartitori e dipendendo dalla loro gentile risposta alle richieste, mentre l’emissario diplomatico di Bruxelles non viene nemmeno ricevuto e gli Usa votano con i peggiori ceffi a favore di Putin e contro gli alleati di ieri alle Nazioni Unite, mentre alle sberle si minaccia l’aggiunta dei dazi e si qualifica l’intero progetto dell’Unione europea come un congegno per fregare Washington. 

Ora, si capisce lo smarrimento delle opinioni libere che registrano la fine di un’èra con il passaggio dell’America dalla parte del nemico delle democrazie liberali e del suo vecchio sistema di alleanze, si capisce d’altra parte che gli uomini di stato debbano impegnarsi nel ricercare soluzioni sedicenti realiste che non compromettano lo status quo, che tentino di rilanciare almeno l’apparenza di un accordo che persiste al di là della sua evidente disdetta contrattuale, si capisce che l’impiego di metodi straordinari di sconquasso da parte di un bullo che ha con sé il Pentagono, il Congresso, il dipartimento di stato, la Corte suprema (forse), l’ondata populista e di destra arrembante nella stessa Europa, si capisce che tutto questo generi uno squilibrio indecente e manovre che sanno di una resa mascherata, alle quali Zelensky non può opporsi in solitario (fa quel che può anche un eroe della resistenza). Quello che non si capisce è la mancanza di un unico possibile e realistico “no”, che nessuno finora ha pronunciato, un non possumus, un non ci stiamo che da solo potrebbe azzerare la frenesia distruttiva del nuovo potere americano e rimettere le cose, se non a posto, in un equilibrio meno sfavorevole agli europei e all’Ucraina, alla sua frontiera violata e difesa. Fino a ora nessun europeo che conti si è pronunciato con semplicità e fermezza contro l’accordo Trump-Putin. Il loro incontro sulla piattaforma del presunto vincitore della guerra, e sulla base della necessità assoluta di ottenere la pace subito, la pace per il nostro tempo di stampo Chamberlain-Daladier, è stato dato per scontato come un evento cataclismatico al quale prepararsi mettendo sacchi di sabbia alle porte e tapparelle in legno alle finestre. Stiamo assistendo da settimane a un balletto incredibile, non credibile, di viaggi alla corte del Rais dell’occidente perduto per confermare in wording dei comunicati e in immagini da conferenza stampa che il suo cambiare la conversazione in meglio (Starmer), sulla sicurezza e la guerra e la pace in Europa, passando dalla parte del nemico, è non solo una accettabile premessa, ma anche un percorso già definito al quale non si può fare altro che associarsi.

Se semplicemente gli europei avessero detto: no, così no, bisogna ridiscutere tutto, siamo con Zelensky e solo lui può dettare tempi e modi di un’uscita sicura e dignitosa dalla tragedia dell’aggressione russa, quale sarebbe stato il rischio intrattabile? Trump che scioglie la Nato? Cosa praticamente fatta, a prescindere. Trump che va a sfilare con Putin sulla Piazza Rossa per cercare di doppiare la foto di Yalta di Roosevelt e Churchill con Stalin, e qualcuno del suo staff gli avrà sussurrato che la foto ha avuto una certa fortuna e durata? Cosa probabile alla data delle celebrazioni del 9 maggio. Trump che vota contro gli alleati storici al fianco del suo dirimpettaio autocrate? Fatto. Trump che mette i dazi? Ci siamo, pare. Oppure sarebbe successo che di fronte a un semplice “no”, discusso e varato con determinazione dall’Unione europea, Trump avrebbe dovuto rivedere capricci, arbitrii e piani di battaglia diplomatica in combutta saudita con Lavrov e compagnia, e ricominciare da capo. Ma questo “no” non lo ha pronunciato alcuno. Di qui l’escalation dell’onnipotenza e la logica umiliante a cui si sono sottoposti gli alleati traditi del Caudillo globale al quale ora si imputa vanamente la fine dell’occidente. 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.