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Gli inciampi di Milei. Le prime contraddizioni nella Casa Rosada
Non solo lo scandalo della criptovaluta ma anche la giravolta all’Onu sul sostegno all’Ucraina, sulla quale pesa evidentemente la posizione di Trump. Esempi di doppio registro
Ma che combina Milei? Con il rumore che ha suscitato il voto di Stati Uniti e Israele contro l’integrità territoriale dell’Ucraina non se ne è praticamente accorto nessuno, salvo che nella stessa Argentina. Ma anche il governo di Buenos Aires ha deciso di non appoggiare la mozione Onu che chiedeva il ritiro “immediato e incondizionato” delle truppe del Cremlino. Non è stato un no, in questo caso, ma un’astensione. Ma, a parte che già questa idea di non prendere posizione è in stridente contrasto con lo stile aggressivo a cui il presidente libertarian ci ha abituato, si tratta comunque di un marcato contrasto rispetto alla posizione mantenuta sul conflitto fin dall’arrivo alla Casa Rosada.
Clamoroso rovesciamento: quel Julio Cobos, già vicepresidente di Cristina Kirchner che per la sua campagna elettorale prendeva valigie di banconote da Chávez, guida ora la durissima protesta di una decina di deputati dell’opposizione contro il voltafaccia. Hanno in effetti ricordato come anche il precedente governo di Alberto Fernández si fosse schierato contro l’invasione, malgrado poco prima di essa proprio lo stesso Fernández avesse offerto l’Argentina come base per sviluppare gli interessi russi in America Latina. Ma Milei aveva accentuato questa linea, anche con l’invitare Zelensky al suo insediamento. È vero: insieme all’ungherese Orbán, che per la causa ucraina rappresenta in Ue il principale inciampo. A riprova di quello che come minimo potrebbe essere considerato un certo eclettismo. Ma anche lo scorso giugno, dopo avere partecipato al G7 pugliese, il presidente argentino aveva voluto recarsi in Svizzera, proprio per partecipare al Global Peace Summit assieme a una cinquantina di leader mondiali schierati al fianco dell’Ucraina. Lì c’era stato un altro suo incontro bilaterale con Zelensky, e gli organizzatori dell’evento gli avevano pure dato l’Ordine della Libertà: una medaglia assegnata per meriti speciali nel rafforzamento della sovranità e dell’indipendenza dell’Ucraina.
Aveva invitato Zelensky al suo insediamento, è vero, ma anche Orbán. La risoluzione Onu giudicata un atto “molto forte”
“Noi sosteniamo l’Ucraina e crediamo che nessuno abbia il diritto di invadere un altro paese, e qui c’è chiaramente un invasore, che è la Russia, e qualcuno che è stato invaso e attaccato, che è il caso dell’Ucraina”, aveva detto Milei all’epoca, ricordando che “come difensori della libertà” gli argentini non possono sostenere altro che la pace tra popoli e nazioni libere. “Poiché credo fermamente nella coscienza filosofica del liberalismo e della pace, oggi rivolgo questa breve supplica in loro difesa, poiché queste idee sembrano essere passate di moda. Credo che sia un passo importante per l’Argentina essere presente prima al vertice del G7 e poi qui a questo vertice per la pace”, aveva proclamato. Ma qui, è forse il caso di ricordare che questo richiamo al “liberalismo” stona rispetto all’ostinazione nel voler creare un asse di destra mondiale anche con gente come Orbán, che esalta la “democrazia illiberale”.
Comunque, adesso il governo argentino spiega che votare per respingere la risoluzione sarebbe stato un atto “molto forte” e che ha quindi scelto di astenersi per “equilibrare” i rapporti tra le parti. E, di nuovo, questa teoria dell’evitare cose “molto forti” arriva sorprendentemente da un leader il cui linguaggio abituale è fortissimo, e che in campo internazionale ha preso decisioni non proprio soft come l’annullamento dell’adesione ai Brics decisa dal suo predecessore, e la fuoriuscita dall’Oms, esattamente come Trump. E l’evoluzione di Trump è evidentemente all’origine di quel che è successo, anche se ha preso la decisione di astenersi piuttosto che votare direttamente no.
Offre piena collaborazione sui documenti e gli archivi di criminali nazisti, ma il saluto romano di Steve Bannon non lo disturba
Nel frattempo, però, a Buenos Aires nel terzo anniversario dell’aggressione si teneva una riunione di ambasciatori per manifestare sostegno all’Ucraina, proprio presso l’assemblea elettiva (Legislatura) della città. Alla presenza di un ambasciatore ucraino che ha dimostrato di essere diplomatico non solo di professione ma anche nello stile, visto che ha accuratamente evitato ogni commento sul voto all’Onu. Un esempio di appoggio e non appoggio all’Ucraina in contemporanea, che sembra replicare altre curiose direzioni contemporaneamente opposte su cui il governo libertario si sta inerpicando. Ad esempio, la partecipazione a quella Conservative Political Action Conference che si è tenuta a Washington dal 19 al 22 febbraio, e che ha avuto come momenti clou il regalo a Musk da parte di Milei della famosa motosega, simbolo dei tagli di spesa fatti in Argentina e che invitava così a replicare negli Usa col Doge, e il saluto romano di Steve Bannon, per il quale il presidente del partito lepenista Jordan Bardella ha deciso di non partecipare. Milei non ha avuto invece problemi, quando lo aveva fatto Musk aveva parlato di un “gesto innocente”. “¡Zurdos hijos de puta, tiemble!”, aveva gridato ai critici. “Sinistri figli di puttana, tremate!”. Ma proprio il giorno prima che la kermesse iniziasse aveva invece incontrato i rappresentanti del Centro Simon Wiesenthal Latinoamérica per offrire loro la più completa collaborazione per accedere a documenti e archivi relativi alla fuga di criminali nazisti in Argentina dopo la Seconda guerra mondiale.
Sui desaparecidos in Argentina è considerato negazionista, ma spara bordate pesantissime contro il regime di Maduro sui diritti umani
Altro esempio di doppio registro: in Argentina dopo il dramma dei desaparecidos è stato introdotto il principio della giurisdizione universale su crimini contro l’umanità. Milei sul punto è stato considerato negazionista, e proprio per l’origine italiana di molti di questi “scomparsi” a Montecitorio un gruppo di deputati del Pd con primo firmatario Fabio Porta ha presentato una mozione appunto per denunciare il modo in cui la motosierra si è abbattuta anche su ciò che riguarda la loro memoria, tagliando drasticamente i fondi destinati al tema dei diritti umani in genere. Però sulla base di questo quadro giuridico proprio da Milei sono partite bordate pesantissime contro il regime di Maduro. Anche varie denunce per lesa umanità presso la Corte penale internazionale che Trump ha invece sanzionato, e a cui lo stesso Milei ha chiesto di arrestare Maduro: ricambiato peraltro da ordini di cattura analoghi, provenienti dalla Procura di Caracas.
La sua predica ultraliberista e antistatalista fatta a Roma di fronte al pubblico di Fratelli d’Italia, che sarebbe di destra sociale come pochi
Soprattutto, la divaricazione si fa pesante sul piano economico. Giusto il 28 novembre anche una testata considerata particolarmente schizzinosa come l’Economist aveva deciso di sdoganare Milei, messo in copertina con un titolo provocatorio: “Il mio disprezzo per lo stato è infinito. Cosa può insegnare Javier Milei a Donald Trump”. In un articolo intitolato “Lezioni da un esperimento sorprendente”, la rivista descriveva Milei come il protagonista di “una delle dosi più radicali di medicina del libero mercato dai tempi del thatcherismo”. Un programma economico giudicato serio, anche se rischioso a causa della tradizione di instabilità del paese e della personalità esplosiva del presidente. “Ha dimostrato che la continua espansione dello stato non è inevitabile”, sottolineava però la pubblicazione, in contrasto con altri leader populisti, tra cui lo stesso Trump. Contrasto di cui Milei sembra non curarsi, come ha dimostrato la sua predica ultraliberista e antistatalista fatta a Roma di fronte al pubblico di Fratelli d’Italia, che sarebbe di destra sociale come pochi, e semmai collegato per dna ai suoi arcinemici peronisti.
L’articolo evidenziava comunque i risultati delle sue politiche economiche, come il calo dell’inflazione mensile dal 13 al 3 per cento, la riduzione della spesa pubblica di quasi un terzo in termini reali e il miglioramento rispetto al rischio di default. Inoltre, era evidenziata l’eliminazione di regolamentazioni che vanno dall’affitto di case al settore aereo, da cui un “fuoco di sollievo” nel mercato. Metteva, è vero, in guardia dall’aumento della povertà, passata dal 40 al 53 per cento, e dai rischi legati a un possibile crollo del peso se venissero aboliti i controlli sui cambi. “L’Argentina è un paese molto insolito”, sottolineava infine l’Economist. Ma concludeva che l’approccio di Milei poteva offrire lezioni valide oltre il contesto argentino: l’importanza della coerenza nelle politiche economiche, il coraggio di affrontare riforme difficili e la sfida di bilanciare l’austerità con la sostenibilità sociale.
Un secondo articolo, intitolato “Un anno di anarcocapitalismo: Javier Milei, rivoluzionario del libero mercato”, affrontava poi la filosofia dietro le misure del presidente argentino. In un’intervista esclusiva, Milei infine riaffermava il suo impegno per la drastica riduzione del ruolo dello stato, descrivendolo come una forza che spinge verso il socialismo. “Qualsiasi interferenza dello stato nei mercati è inaccettabile”, affermava. Ma criticava addirittura il quadro dell’economia neoclassica per aver favorito indirettamente il socialismo. “Sta vivendo il suo momento migliore da quando è entrato in carica. I suoi due pubblici più importanti, i mercati e gli argentini, sono soddisfatti”, si scriveva ancora. L’Economist, che un anno prima aveva accolto l’elezione di Milei con scetticismo e ironia, lodava anche il suo pragmatismo sulle questioni internazionali, per cui nonostante la sua retorica elettorale contro Cina e Brasile aveva cambiato posizione. Metteva però l’accento sul fatto che l’economia restava in recessione, con un aumento della disoccupazione e della povertà (che però in realtà è in calo ed è già ora più bassa rispetto a prima che Milei si insediasse), mentre il peso era sopravvalutato. Tra i rischi politici ed economici “significativi” si avvertiva della crescente volatilità di Milei, in particolare per le sue guerre culturali sul gender e sul cambiamento climatico. Questioni che l’Economist vedeva come distrazioni dalla sua principale missione economica. Come anche l’ultimissima polemica per aver pubblicato in Gazzetta ufficiale un documento dove si definiscono le persone che soffrono di disabilità cognitive come “ritardati”, includendo all’interno di questa categoria le definizioni di “idiota”, “imbecille” e “mentalmente debole”.
La novità del 2025 è appunto che la recessione è finita, e con la ripartenza dell’economia il peso del debito ha iniziato a scendere, permettendo al governo di negoziare altri 11 miliardi di dollari con il Fmi. Il notevole rallentamento dell’inflazione, passata dal 211,4 per cento del 2023 al 117,8 del 2024, ha iniziato a far risalire i consumi interni, dal -3,3 per cento su base annua al +4,6 dell’ultimo trimestre, anche se il welfare soffre, e la povertà ha toccato il 49,9 per cento. Secondo JPMorgan, nel quarto trimestre 2024 c’è stata ancora una contrazione del Pil del 2,1, con un -14,9 delle costruzioni e un -6,1 del commercio all’ingrosso e al dettaglio. Ma nel terzo c’era stata una crescita del 3,9, con un aumento del 12 per cento degli investimenti fissi, del 32 dell’agricoltura, del 7 della pesca. Un grande asset è l’industria mineraria, che è cresciuta sui base annua del 7,9, e che va dal boom del litio a quello del grande giacimento di petrolio e gas di Vaca Muerta. L’inflazione annua dovrebbe scendere al 30 per cento a fine 2025, e al 20 a fine 2026. L’export è cresciuto del 20,1 per cento su base annua. A novembre c’è stato il dodicesimo mese consecutivo di saldo commerciale positivo, con un surplus di 1,2 miliardi. Per il 2025 ci dovrebbe essere una crescita del 5,5 per cento, e per il 2026 di un’ulteriore 4 per cento.
E tuttavia, mentre a dicembre Milei risultava il presidente più popolare del Sudamerica, a febbraio era sceso al secondo posto: 49,3 per cento, contro il 51,5 dell’uruguayano Luis Lacalle Pou. All’effetto di usura sembra contribuire lo scivolone di $Libra: la moneta virtuale che il 14 febbraio, alle ore 19 argentine, il presidente ha deciso di lanciare con un messaggio ai 3,5 milioni di follower del suo account su X: “Questo progetto privato si dedicherà a incentivare la crescita dell’economia argentina, finanziando piccole imprese e progetti imprenditoriali argentini. Il mondo vuole investire in Argentina”. In 45 minuti, partendo da pochi centesimi, il token è arrivato a 4,7 dollari per unità, facendone salire il valore globale a 4,5 miliardi di dollari, con il sostegno di almeno 40.000 investitori. Ma improvvisamente alcuni di loro hanno iniziato a vendere, e nell’ora successiva è precipitato a 1,44. Cinque ore dopo aver pubblicato il post Milei lo ha cancellato, spiegando che non era a conoscenza dei dettagli del progetto. E a quel punto $Libra è crollata definitivamente, con perdite per 4 miliardi. Si è poi scoperto come cinque minuti prima che Milei pubblicasse il post, diversi utenti del team che ha sviluppato $Libra avevano trasferito fondi in quello che in termini tecnici è definito “liquidity pool” per permettere agli investitori di comprare e vendere il token. E solo cinque wallet – portafogli digitali – possedevano circa l’80 per cento del totale, quando la percentuale si ferma normalmente al 20 per cento. In gergo, questo tipo di operazione è definita “rug pull”. In pratica, una truffa: si attirano investitori con la promessa di guadagni elevati, si raccolgono soldi, e si scappa con la cassa, lasciando un token senza valore.
In questo caso, poi, il personaggio di Hayden Davis, il giovane di Los Angeles raccomandato da Trump che era dietro la criptovaluta, è misterioso in modo particolare. Non c’era nessuna traccia di lui su Google, prima dell’ultima faccenda, e solo 35 contatti su Linkedin. Il suo profilo lo indica solo come ceo di Kelsier, con sede a Los Angeles, e “serial entrepreneur.” Ha visitato l’Argentina tre volte nel 2024, ma la sua presenza è stata resa nota solo il 30 gennaio, quando si è scattato un selfie con Javier Milei alla Casa Rosada. Adesso, dice di temere per la sua vita. Si è avvicinato al presidente tramite un consigliere di Karina Milei, sorella e segretaria alla presidenza, ma sarebbe riuscito ad attirare la sua attenzione con una telefonata diretta di Trump, buon amico di un suo zio. Davis ha anche ammesso di essere stato l’ideatore del meme coin di Melania Trump, “Melania meme coin è ora disponibile”, da cui altre perdite colossali per chi ci ha creduto.
Nella sua prima intervista dopo lo scandalo, rilasciata lunedì 17 febbraio al canale televisivo TN e realizzata dal giornalista Jonatan Viale, Milei ha negato le sue responsabilità, ha sostenuto di non avere promosso la valuta ma di avere solamente diffuso un’informazione e di non essere a conoscenza dei dettagli del progetto. “Se vai al casinò e perdi soldi, allora qual è la lamentela?”, ha dichiarato. “Chi ha partecipato, lo ha fatto volontariamente. E’ un problema tra privati perché qui lo stato non ha alcun ruolo”.
Comunque, ha accettato di essere messo sotto inchiesta, come reclamato dall’opposizione.