Peace first. Il mistero di J. D. Vance, l'insolito apostolo di Trump

Marco Bardazzi

Un venerdì di preghiera, poi l’aggressione a Zelensky. La presa di distanza dai conservatori cattolici americani degli ultimi decenni

Venerdì mattina J. D. Vance ha pronunciato il suo primo “discorso cattolico” da quando è vicepresidente degli Stati Uniti, ha affascinato una platea di personalità del cristianesimo americano con il racconto del battesimo di suo figlio di sette anni e ha trascinato tutti in una lunga preghiera per la guarigione di Papa Francesco. Il Vance mistico ha raccolto applausi. Poi si è spostato di un chilometro, è tornato alla Casa Bianca. Un paio d’ore dopo è comparso il Vance in versione cane da guardia di Donald Trump: è stato lui il vero protagonista dell’aggressione senza precedenti nello Studio Ovale al presidente ucraino Volodymyr Zelensky. 

  
Vance è il vero mistero di questa amministrazione, più di Trump, Musk o Rubio. E la sua ambizione è di esserne anche la testa pensante, il motore ideologico, l’interprete delle mosse del presidente, che punta a far leggere anche in una chiave provvidenziale e religiosa. E’ per questo che è interessante raccontare il venerdì mattina di Vance, soprattutto la parte che ha preceduto la scena nello Studio Ovale che ha scosso il mondo. Perché per il vicepresidente è stato il momento del debutto da neoconvertito al cattolicesimo di fronte alla platea del National Catholic Prayer Breakfast, un evento annuale ispirato da Giovanni Paolo II che riunisce nella capitale millecinquecento personalità del mondo cattolico, per pregare per il futuro del paese. Era ospitato nel gigantesco Washington Convention Center, dove l’anno scorso si erano celebrati i 75 anni di quella Nato che Trump e Vance ora sembrano voler smantellare. 

  
Alla colazione di preghiera sono successe quattro cose: Vance ha “cattolicizzato” le mosse di Trump, ha aperto una nuova strada rispetto alla posizione tradizionale dei conservatori cattolici americani, ha scelto di non andare allo scontro con il Papa e i vescovi e infine si è implicitamente proposto come nuovo leader dell’American Catholicism.

  
Per capire l’aggressione a Zelensky, va letto quell’intervento di Vance che l’ha preceduta di un paio d’ore. Perché il vicepresidente ha rivendicato per l’amministrazione il compito non solo di difendere la libertà religiosa e le battaglie pro-life, ma anche di proporre una politica estera “peace first” che, ha sottolineato, “è quella perfettamente in linea con la dottrina sociale della Chiesa”. Da qui Vance ha preso lo spunto per distaccarsi dalle posizioni dei conservatori cattolici americani degli ultimi decenni. Ha detto di vergognarsi delle ultime guerre degli Stati Uniti, anche per la crisi che hanno creato ai cristiani che vivono in medio oriente. Ha mandato in un attimo in archivio decenni di allineamento tra i neocon repubblicani e una larga parte degli intellettuali cattolici americani, quelli della generazione dei George Weigel e Michael Novak, che difendevano la promozione della democrazia nel mondo. E ha provato a spiegare la politica estera della Casa Bianca come una messa in pratica dei vangeli. “E’ evidente – ha detto – che quando il presidente Trump parla del bisogno di portare la pace in Russia e Ucraina o in medio oriente, non possiamo non riconoscere che si tratta di una linea politica orientata a salvare vite e ad attuare uno dei più importanti insegnamenti di Cristo”.


La politica estera non è il solo terreno sul quale Vance sta provando a condurre i cattolici conservatori americani in una nuova direzione. Sul fronte interno, infatti, ai tradizionali temi della lotta all’aborto e della difesa della libertà religiosa, il vicepresidente ha aggiunto una forte enfasi sulla politica economica trumpiana a base di dazi e populismo, definendola una interpretazione corretta della dottrina sociale della Chiesa sul bene comune. Mentre sull’immigrazione, terreno sul quale è evidente lo scontro con la gerarchia ecclesiastica, ha usato toni concilianti, ma senza alcun cedimento. 


Quando Vance è tornato alla Casa Bianca, aveva ancora in mente i momenti di preghiera di quella mattina, gli applausi che ha ricevuto la sua spiegazione di una politica estera “peace first”, il cedimento alla sua linea da parte dell’establishment cattolico un tempo neocon, di cui uno degli esponenti era il segretario di stato Marco Rubio, suo vicino di divano nell’incontro nello Studio Ovale. Ascoltare Zelensky che cercava di spiegare, nel suo inglese imparato da poco, che la pace che serve al suo popolo non è questa, ha fatto scattare Vance e provocato la sua irrituale interruzione in un incontro tra capi di stato. E il mondo ha assistito a dieci minuti da libri di storia.
 

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