
Il messaggio di Zelensky a Trump e le convergenze semantiche tra Mosca e Washington
Il leader di Kyiv cerca di accontentare i capricci di Trump nel giorno in cui il taglio degli aiuti militari è un dato di fatto. L’Amministrazione americana e i funzionari russi fanno a gare di insulti al presidente ucraino
Il messaggio di Volodymyr Zelensky per Donald Trump è arrivato. Non sono delle scuse, ma un messaggio amichevole messo su X, non a favore di telecamere come l’Amministrazione americana aveva chiesto per rimanere fedele al galateo dell’umiliazione. Zelensky ha ribadito l’ovvio: “Nessuno vuole una guerra senza fine. L’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo delle trattative il prima possibile per avvicinarsi a una pace duratura. Nessuno desidera la pace più degli ucraini. La mia squadra e io siamo pronti a lavorare sotto la forte leadership del presidente Trump per ottenere una pace duratura”.
Zelensky ha detto di essere pronto a lavorare velocemente, ha indicato le prime fasi di un possibile accordo: rilascio dei prigionieri, tregua in cielo e tregua in mare. A una condizione: la Russia deve fare lo stesso. “Diamo davvero valore a quanto l’America ha fatto per aiutare l’Ucraina a mantenere sovranità e indipendenza”. Zelensky nel ringraziare ha dovuto sottolineare quanto sia antica la sua gratitudine: “Ricordiamo il momento in cui le cose sono cambiate quando il presidente Trump ha fornito all’Ucraina i Javelin. Ne siamo grati”. Nel 2019, quando Trump chiese a Zelensky di aiutarlo ad avviare un’indagine contro il suo rivale Biden e suo figlio, il presidente ucraino aveva annunciato che Kyiv era pronta ad acquistare missili anticarro per respingere gli attacchi russi nella parte orientale del paese. Nel messaggio a Trump, Zelensky ha scritto ancora: “Per quanto riguarda l’accordo su minerali e sicurezza, l’Ucraina è pronta a firmarlo in qualsiasi momento e in qualsiasi formato conveniente. Consideriamo questo accordo come un passo verso una maggiore sicurezza”. Mancano le scuse dirette, manca il messaggio video, ma Zelensky ha cercato di accontentare i capricci dell’Amministrazione americana nel giorno in cui il taglio degli aiuti militari è un dato di fatto.
Finora si sono viste le convergenze tra Mosca e Washington, gli Stati Uniti hanno minacciato l’Ucraina e offerto garanzie alla Russia. Il Cremlino sta a guardare e si gode lo spettacolo di una Casa Bianca molto amichevole, pronta a offendere e disarmare l’avversario ucraino e a insultarlo. È sempre utile raccogliere le dichiarazioni dei funzionari russi che non soltanto possono indicare cosa pensa Vladimir Putin, ma sono un ottimo termometro dell’umore nel potere in Russia. Il Cremlino ha approvato la sospensione degli aiuti militari all’Ucraina e l’ha definita una decisione “che potrebbe davvero spingere il regime di Kyiv verso un processo di pace”. Il ragionamento di Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, è logico: se Kyiv non ha più armi per combattere, cederà ed è esattamente quello che vuole Mosca che è pronta a sedersi al tavolo delle trattative soltanto con un’Ucraina estremamente indebolita. La notizia inaspettata è che a indebolirla è il presidente americano Donald Trump.
Il Cremlino ride tanto che la stampa non nega, come fa il giornale Moskovskij Komsomolets, il piacere che la Russia non riesce neppure a nascondere e vuole nascondere. Mosca si compiace nel guardare il crollo, il disfacimento di quello che chiama l’ “occidente collettivo”, e anche se aveva giustificato le sue azioni aggressive nel nome della lotta alla collettività occidentale unita contro la Russia, si bea nell’osservare Trump che distrugge l’unità, che tratta tutti, tranne il presidente Putin, come degli avversari. Il Cremlino ha sottolineato quanto sia storico il momento di una politica estera americana straordinariamente allineata con quella russa e all’Amministrazione americana, per il momento, non è venuto il sospetto che qualcosa potrebbe andare storto. Putin ha la chiave per farsi capire da Trump e Mosca è pronta a mettere sul tavolo dei colloqui molti argomenti che non riguardano soltanto l’Ucraina.
C’è una cosa, oltre alla politica estera, che Trump e Mosca hanno in comune ed è il linguaggio della diplomazia. L’ex presidente, ex premier, attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, Dmitri Medvedev, ieri ha scritto su X: “L’Amministrazione Trump non vuole più dare da mangiare al bastardino nazista di Kyiv. Il cane infestato di pulci è stato accolto da un’Europa decrepita che lo festeggiava con gioia dicendo: ‘E’ il mio cagnolino’. Il cane parassita pazzo è pericoloso. Quindi meglio sopprimerlo in silenzio, senza sofferenza”. Il messaggio è delirante, Medvedev non conta molto a livello politico, ma è una delle espressioni di come e cosa pensa il potere. Il lessico è sempre volgare, chiamare Zelensky cane, parassita, infestato di pulci, non è il primo passo verso un negoziato fruttuoso. Lunedì, Trump si era rivolto al presidente dell’Ucraina chiamandolo “questo tizio”, volendo appositamente manifestare la mancanza di rispetto nei confronti di Zelensky e dell’Ucraina. La complicità semantica finora è uno degli elementi che hanno contribuito ad avvicinare l’Amministrazione Trump al Cremlino.