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Fede e politica, differenze

J. D. Vance, "cattolico" che c'entra?

Lo strano caso del vice profetico

Maurizio Crippa

Appunti sulla teologia politica, non particolarmente fondata nella tradizionale dottrina cattolica, del vice "convertito" di Trump. Il successo tra i cattolici di destra. Ma contano solo le scelte di governo, lezioni da Adenauer a Moro

C’è qualcosa di paradossale, o incomprensibile, tra ciò che J. D. Vance dice della sua fede di convertito e la pretesa che sia fonte della sua azione politica. C’è qualcosa di paradossale, anzi decisamente poco comprensibile, nell’entusiasmo con cui il mondo cattolico di destra lo ha accolto, eleggendolo a profeta religioso del trumpismo. Come ha scritto ieri Marco Bardazzi, col suo primo “discorso cattolico” “il Vance mistico ha raccolto applausi”. 

Un salto quantico, dacché nella storia politica del cattolicesimo la distinzione tra la fede e la prassi è sempre stata netta. Nessuno ha mai giudicato Aldo Moro per la sua fede, ma per la sua capacità di statista. E nessuno votò JFK perché cattolico, ma per la sua Nuova frontiera. Essere cattolici e fare politica sono due sfere concettuali e di prassi separate. E’ sottilmente sbagliato valutare le cose che Vance va dicendo, non tutte in verità coerenti, in base al loro “valore religioso” o anzi, anche peggio, al fatto che “ci creda” proprio. Non è questo che decide dell’azione politica, della visione stessa e della capacità che ne deriva di guidare la società – e persino di “fare da argine” ai mali della società – di un uomo politico. Per quanto vice president. Nessuno considera Konrad Adenauer padre della Germania e dell’Europa unita per il suo profondo cattolicesimo, per il quale da più parti si chiede che si apra un processo canonico, come già avvenuto per Robert Schuman e per Alcide De Gasperi. Per tutti e tre ha contato il loro ruolo e la loro visione: non esattamente quella di rifondare il Sacro romano impero magari con la benedizione di Kirill e Vlad.  Ora Vance, facendo tutt’uno fra la sua visione religiosa e le idee del suo capo, viene in Europa e prende a calci la sua tradizione democratica (quella edificata dai tre sopra citati) e sposa lo slogan trumpiano del peace first. Senza evidentemente aver compulsato la dottrina cattolica per la quale il primo requisito della pace è che sia “giusta”, e non a buon mercato: non c’è pace senza giustizia. Al riguardo è anche stravagante (oppure c’è una sottile coerenza?) l’entusiasmo della destra cattolica per queste posizioni facilone, diciamo così, sulla pace: non accorgendosi che sono totalmente “bergogliane”. Pensiero e azione di Vance vanno analizzati sul piano della politica. La fede personale, persino il battesimo dei figli, non c’entrano. Lo stesso si può dire per le sue posizioni sull’aborto, applaudite da cattolici e pro life evangelici: sono destinate a restare flatus vocis o, peggio, a creare soltanto tensioni sociali e giuridiche se non si declinano in una proposta di politica in grado di essere, se non accettata da tutti, almeno attuata. Giulio Andreotti firmò obtorto collo la legge sull’aborto, ma con grave scorno degli ultras pro life italiani san Giovanni Paolo II non lo condannò per questo e ne ebbe sempre grande stima e riconoscenza. Perché il governo è fatto di molte altre cose.

E’ evidente che sia molto apprezzato, anche in settori non ristretti della gerarchia della Chiesa, il tentativo di Vance di presentare Trump “in una chiave provvidenziale e religiosa”, per citare l’ottima sintesi di Bardazzi. Ma il provvidenzialismo religioso è quanto di più distante dalla tradizione del pensiero cattolico. E quando ci si è scostati da essa, non si sono ottenuti risultati molto positivi. Vance è l’alter ego dotato di fede di Trump, secondo molti, l’uomo che può aprire una nuova fase del cattolicesimo politico americano, effettivamente ridotto al lumicino. Ma “cattolicizzare” un presidente non è compito suo – a nome di chi?, l’individualismo e le fughe in avanti nelle scelte che riguardano il bene comune non sono mai state apprezzate dalla Chiesa – e nemmeno di un Papa (il prossimo?). Invece secondo il Vangelo “l’albero si giudica dai frutti”. Quindi, più che tributare plauso quando Vance afferma che lo scopo di Trump è “di portare la pace in Russia e Ucraina o in medio oriente”, e che “si tratta di una linea politica orientata a salvare vite e ad attuare uno dei più importanti insegnamenti di Cristo”, il realismo cristiano imporrebbe di valutare fattibilità ed esiti di queste idee. Senza scomodare Nostro Signore come un predicatore della Bible belt o un pope della steppa. La separazione tra le convinzioni religiose e la laicità delle istituzioni e dell’agire politico è un gran dibattito dai tempi di Eusebio di Cesarea, sempre aperto, ma nei secoli si è approdati a qualche caposaldo più solido della teologia hillbilly. Il percorso spirituale di Vance dal nichilismo al cattolicesimo (anti) romano può essere interessante e appassionare, può essere ispirazione per le sue idee. Ma l’azione di governo è altra: come si fa la pace? Come si guida la nazione, come si condannano i dittatori? E’ giusto invadere Panama? Come fare politiche sociali senza cadere nella discriminazione? Ama sant’Agostino, ma non pare aver colto le implicazioni della Città di Dio, le due città che convivono nell’imperfezione delle leggi. Anche il suo amico Rod Dreher dell’Opzione Benedetto è difficile da declinare nel trumpismo teologico. I grandi politici cattolici nel passato hanno saputo dare un contributo alla causa comune. Perché erano grandi politici e facevano politica, non perché avevano “visto la luce” come John Belushi.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"