
un congresso di cheerleader
L'America infantilizzata di Donald Trump
Chiassosa e carnevalesca tutta l’orchestrazione del consenso eccitato, delle ovazioni all’impiedi dei tifosi, che faceva folgorante contrasto con il broncio ridicolo e forzato dell’opposizione democratica. La sceneggiatura della incredibile serata per piccini cresciuti
L’America infantilizzata. Questo è stato il fluviale, favoloso, bugiardo, iperbolico, surreale discorso di Trump al Congresso. Un’ora e quaranta di pedagogia e bacchettate e tronfiaggini e divertenti menzogne e esagerazioni (su tutto: guerra culturale, esercizio del potere esecutivo, geopolitica, lotta all’immigrazione, dazi, trilioni che giravano nel cielo come aquiloni), una platea da asilo nido irrequieto e depresso, secondo lo spirito della divisione partisan. L’impostore si è detto primo in una lista di merito in cui George Washington era il secondo, e ne ha ghignato. Ha detto di avere appena cominciato a costruire l’età dell’oro, perché Dio lo ha salvato per fare di nuovo grande l’America, ma intendiamoci bene, ha aggiunto, è un’impresa che non ha precedenti, che non è mai stata squadernata davanti ai nostri occhi in passato, nell’intera storia della nazione, e mai ne sarà costruita una simile in futuro. Ha inserito nei servizi segreti un delizioso e spaurito ragazzino guarito da un cancro al cervello, con le cicatrici ancora fresche e in vista, poverino, e il padre lo ha issato sulle spalle tra gli applausi della folla per il compimento di questo suo desiderio bambino. Ha fatto una rassegna splatter di morti ammazzati, vittime della criminalità da immigrazione illegale, neanche uno fatto fuori da uno di quei buoni americani che sparacchiano a volontà in scuole università e sale da concerto, e ha premiato un delizioso poliziotto di frontiera latino, omaggio sui generis alla diversity, che aveva salvato un commilitone con sprezzo del pericolo personale. Ha celebrato il ritorno per suo merito di un prigioniero di Putin, felice che ora sia a casa e in salute dopo lo scambio, ma sorvolando sull’abitudine del suo nuovo socio di arraffare cittadini stranieri per scambiarli con favori vari e il ritorno nel freddo delle spie che avvelenano i dissidenti e si rifugiano a Londra o altrove in occidente.
Tutto il linguaggio del corpo del capo parlava da solo, nella torsione imbronciata e autoritaria e paterna e affettuosa verso la first lady, musetto imbronciato pure lei. Chiassosa e carnevalesca tutta l’orchestrazione del consenso eccitato, delle ovazioni all’impiedi dei tifosi, che faceva folgorante contrasto con il broncio ridicolo e forzato dell’opposizione democratica, divisa tra silenzio composto, protesta e espulsione di un deputato texano quasi ottantenne con bastone da passeggio agitato minacciosamente, cartellini modesti d’effetto su tasse da lui evase, tagli ai servizi sociali da lui effettuati o effettuandi, insulti a Musk che si agitava contento nell’asilo materno della tribuna quando il capo lo lodava.
Uno spettacolo fantastico a suo modo, in armonia con la tradizione coreografica del cheerleaderismo americano, majorette e parate, in disarmonia con i poveri giudici della Corte suprema costretti all’immobilità statuaria da funzione in quell’asilo dei matti, dove almeno i militari, almeno loro insieme con i giudici, hanno evitato di prostrarsi al Dio infantile della democrazia americana nell’ora dell’esplosione populista, la faccia imbarazzata del joint chiefs of staff con le stellette.
La bambinaggine che ormai ci domina e ci ricatta e ci muove guerra commerciale, costringendoci alla scelta fra politica e cotillon, si è concentrata anche su due figure da cartoon, il vice intraprendente venuto dagli Appalachi e passato da Harvard, J. D., che con Mike Johnson, speaker della Camera, si alzava e si sedeva di continuo, plaudendo i due estasiati, giovanili, statisti in robusta prospettiva di carriera, al vecchio bonzo autorevolissimo nello spacciare frottole arancioni a una palude washingtoniana che vuole prosciugare a colpi di accetta rivoluzionaria, ovvero di ghigliottina. La fantasia di Mel Brooks, l’invenzione comica di Groucho Marx e la freddezza intellettualistica di Woody Allen avrebbero potuto scrivere la sceneggiatura della incredibile serata per piccini cresciuti, ma ci ha pensato da sola la goffa e promettente realtà della democrazia americana ritornata nella sua posizione fetale.


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