
Tokyo, Seul e Taipei alla prova di forza di Trump
Il Giappone sta prendendo molto sul serio il caos della nuova America, e inizia ad agire di conseguenza. La nave Akizuki nello Stretto di Taiwan
I paesi dell’Indo-Pacifico guardano al ritiro dell’America di Trump dai fondamentali che hanno regolato gli ultimi quarant’anni con preoccupazione e in cerca di soluzioni creative, prima che sia troppo tardi. Mentre la Corea del sud fa i conti con la sua crisi istituzionale, e Taiwan cerca rassicurazioni a Washington, il Giappone, dov’è in visita in questi giorni il presidente della Repubblica italiano Sergio Matterella, sta silenziosamente cambiando la sua postura.
A Seul nei prossimi giorni è attesa la sentenza della Corte costituzionale che si pronuncerà sull’impeachment del presidente sospeso Yoon Suk-yeol per la dichiarazione della legge marziale di dicembre: se, come previsto, Yoon fosse ufficialmente deposto, si aprirebbe la strada a nuove elezioni e a una vittoria quasi scontata del Partito democratico in Corea del sud, e quindi un conseguente deterioramento dei rapporti del paese con l’America e con il Giappone, in uno smembramento dell’alleanza trilaterale Seul-Washington-Tokyo che l’Amministrazione Biden aveva consolidato. Con la Corea del sud lontana dalle logiche delle alleanze, l’idea che Trump voglia un appeasement con la Russia e con la Cina preoccupa molto nella regione dell’Indo-Pacifico. Non a caso ieri C.C. Wei, presidente della Tsmc, la più grande azienda di microchip di Taiwan, era alla Casa Bianca ad annunciare un investimento da cento miliardi di dollari, in quello che molti, anche sull’isola minacciata dalla Repubblica popolare cinese, hanno visto come una “merce di scambio” per assicurarsi il sostegno americano in caso d’invasione da parte di Pechino. Ma sono i media giapponesi quelli in questi giorni più preoccupati per l’evoluzione della politica estera americana. Se fosse ancora vivo, c’è una persona a cui il presidente americano Donald Trump avrebbe dovuto chiedere un consiglio su come negoziare con Vladimir Putin – ha scritto ieri l’analista Brad Glosserman sul Japan Times – ed è l’ex premier giapponese Shinzo Abe, rimasto ucciso in un attentato l’8 luglio del 2022 a Tokyo. Abe, uno dei pochi leader politici particolarmente apprezzato da Trump, nei suoi anni a capo dell’esecutivo aveva tentato la via della diplomazia con Putin, per risolvere la questione dei Territori del nord occupati dalla Russia: “Nonostante un corteggiamento che a volte ha rasentato l’umiliazione, Abe alla fine è rimasto deluso. Putin ha intascato ogni concessione e ne ha pretese altre. Le relazioni tra Giappone e Russia sono finite più o meno dove erano iniziate: distanti e antagoniste”. Sin dall’invasione su larga scala dell’Ucraina, tre anni fa, Tokyo si è posizionata con gli alleati del G7 anche per quanto riguarda le sanzioni, e Mosca reagisce: ieri il ministero degli Esteri russo ha dichiarato di aver vietato a tempo indeterminato l’ingresso nel paese a nove cittadini giapponesi, tra i quali l’attuale ministro degli Esteri Iwaya Takeshi.
A Tokyo – e il Giappone oggi è l’unico paese al mondo che affronta tre minacce contemporaneamente: Russia, Cina e Corea del nord – l’urgenza di una exit strategy di sicurezza è percepibile anche nella politica interna. Il primo ministro Shigeru Ishiba, che sembrava destinato a una leadership debole e breve, in realtà si sta rivelando più forte del previsto e un abile negoziatore all’interno della Dieta, il Parlamento giapponese. Ieri la Camera dei rappresentanti ha approvato il budget per l’anno fiscale 2025, dopo diverse concessioni fatte da Ishiba per ottenere i voti anche di parte dell’opposizione senza però toccare la porzione di budget dedicato alla Difesa, che continua a espandersi – Ishiba vuole arrivare al 2 per cento di pil entro il 2027. Durante la sua recente missione a Washington, il primo ministro giapponese avrebbe detto al presidente americano Trump che Tokyo è disposta ad acquistare aerei da trasporto tattico statunitensi per le sue Forze di autodifesa (il Giappone continua ad avere soltanto Forze di autodifesa e non delle Forze armate regolari per via della sua Costituzione post-bellica). La notizia non è stata presa bene dalla propaganda cinese, che accusa il Giappone di “militarismo”.
Ma la notizia che ha rafforzato la convinzione degli osservatori che Tokyo abbia preso molto sul serio la dichiarazione dell’ex premier Fumio Kishida, “l’Ucraina di oggi può essere l’Asia di domani”, è stata ufficializzata ieri e riguarda il cacciatorpediniere classe Akizuki delle Forze di autodifesa marittime che all’inizio di febbraio ha attraversato lo Stretto di Taiwan. E’ la prima volta in cui una nave da guerra giapponese compie un’operazione di libertà di navigazione di questo tipo: la prima era avvenuta nel settembre scorso, ma la nave nipponica si era unita in formazione ad altre due, da Australia e Nuova Zelanda. Ora il Giappone è costretto a pattugliare da solo, a iniziare a pensare come se le garanzie di sicurezza dell’America non ci fossero più, e ha il coraggio di inviare dei segnali di deterrenza. Il ministro Iwaya ieri ha rifiutato di commentare quando un giornalista gli ha chiesto della decisione di Trump di sospendere gli aiuti militari all’Ucraina. Come Ishiba qualche giorno fa, ha fatto l’equilibrista, parlando di una situazione “fluida”. Ma è solo diplomazia.


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