il discorso al congresso

Trump celebra se stesso in una notte da "America First"

Marco Bardazzi

Il presidente fa la lista delle cose fatte nei suoi primi 43 giorni di governo, promettendo un ritorno all'“età dell’oro”. Proteste dai democratici, aula divisa e toni durissimi contro Biden. Raramente si è visto negli ultimi decenni un Congresso così polarizzato

Il presidente Donald Trump ha celebrato nella notte sé stesso e i primi quarantatré giorni di quella che ha definito “la rivoluzione del buonsenso”, le sei settimane frenetiche nelle quali la sua nuova amministrazione ha avviato una profonda trasformazione dell’America, destinata a lasciare il segno forse per generazioni. Per la quinta volta in vita sua, Trump ha parlato da presidente alle camere riunite del Congresso. Essendo appena entrato in carico, non si è trattato di un formale discorso sullo Stato dell’Unione, che farà una volta l’anno nei prossimi quattro anni. Doveva essere un discorso programmatico, si è trasformato in realtà in una lista delle cose fatte e nella rappresentazione plastica di un’America divisa e ferita come non mai, neppure ai tempi della sua prima amministrazione.

È stata una notte all’insegna dell’America First, quasi interamente dedicata all’elenco delle iniziative di politica interna in corso per dar vita all’”età dell’oro” che Trump ha proclamato di nuovo, facendo eco al discorso inaugurale del 20 gennaio scorso. “L’America è tornata – ha detto - lo slancio dell’America è tornato. Il nostro spirito è tornato. Il nostro orgoglio è tornato. La nostra fiducia è tornata. E il sogno americano rinasce, più grande e migliore che mai, è inarrestabile e il nostro Paese è sull’orlo di un ritorno di cui il mondo non è mai stato testimone prima e forse mai lo sarà”.

La politica estera è stata ridotta a un aggiornamento sulla questione ucraina, con l’annuncio dell’arrivo alla Casa Bianca di una lettera del presidente Volodymyr Zelensky nella quale si dice pronto a un accordo di pace e ribadisce la propria gratitudine nei confronti degli Stati Uniti, per cercare di sanare la rottura dopo il litigio nello Studio Ovale della scorsa settimana. “Contemporaneamente sto ricevendo segnali di pace dalla Russia. Potremmo avere la pace, non sarebbe meraviglioso?”, ha detto Trump, accusando poi di nuovo l’Europa e il suo predecessore, Joe Biden, di aver creato le condizioni per la guerra e di non essere riusciti a fermarla prima. Sul fronte internazionale, Trump ha ribadito di volere la Groenlandia e il canale di Panama e ha dato ampio spazio alla propria politica dei dazi, all’indomani dell’imposizione delle tariffe contro Canada, Messico e Cina che hanno fatto cadere le Borse di tutto il mondo.

In un’aula divisa nettamente in due, i democratici hanno protestato per tutta la durata del lungo discorso (oltre un’ora e mezzo), restando sempre seduti senza mai un applauso e sollevando cartelli con scritte che andavano da “È falso”, “No ai Re”, “Musk ruba” (Elon Musk sedeva in galleria e ha ricevuto applausi dai repubblicani). Un deputato del Texas, Al Green, ha interrotto ripetutamente Trump ed è stato espulso dall’aula, un provvedimento rarissimo in queste occasioni. Un ampio gruppo di deputate democratiche, guidate da Nancy Pelosi, sedevano vestite di rosa, un colore scelto per protestare contro le politiche di Trump in tema di difesa dei diritti delle donne e di diversità, eguaglianza ed inclusione. “L’epoca woke è finita”, ha esclamato Trump dal podio, tra gli applausi dei repubblicani, inclusi, alle spalle del presidente, il vice JD Vance e lo speaker della Camera Mike Johnson.

Trump è stato durissimo nei confronti di Biden e si è rivolto con asprezza e tono di sfida più volte alla parte dell’aula dove sedevano i democratici, accusandoli di averlo perseguitato per anni e promettendo vendette. Raramente si è visto negli ultimi decenni un Congresso così polarizzato e una totale incomunicabilità tra le due parti, che rappresentano un’America che – non va dimenticato – è ancora divisa nettamente in due.

Trump ha parlato da presidente legittimamente eletto a novembre con 312 voti elettorali contro i 226 di Kamala Harris, ma il dato inganna sui reali equilibri nel paese, perché è frutto del singolare sistema maggioritario del “collegio elettorale”. Nella realtà, il vantaggio di Trump sulla Harris in termini di voti è stato di 77,3 contro 75 milioni, su 159 milioni di votanti, con percentuali del 49,8 per Trump contro il 48,3 per Harris. Gli Stati Uniti sono spaccati nettamente in due, i repubblicani in questo momento hanno i pieni poteri, alla Casa Bianca e al Congresso, ma nell’aula della Camera dove Donald Trump ha parlato la notte scorsa alla nazione si è vista, a colpo d’occhio, la ferita di un paese diviso che non riesce a collaborare su alcun tema e dove prevalgono la rabbia e l’insulto all’avversario.

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