
In viaggio da Kim Jong Un
La Corea del nord si è riaperta al turismo internazionale. Ma è durata solo tre settimane
Anche i viaggi in Corea del nord funzionano come un’arma politica. Che cosa ha significato il tour di tredici occidentali a Rason, la zona economica speciale dove Cina, Russia e Corea del nord s'incontrano. "Siamo stati i primi stranieri che vedevano da cinque anni”, dice l'influencer-viaggiatore Pasquali, che ha partecipato alla gita
Dalla città cinese di Yanji, nell’estremo oriente della Repubblica popolare, basta un’oretta di auto per arrivare al confine con la Corea del nord, in una zona economica speciale dove la geografia rappresenta alla perfezione la storia e le relazioni internazionali. Questo triangolo di territorio è il luogo in cui Cina, Russia e Corea del nord s’incontrano. Dopo cinque anni di confini blindati, Pyongyang aveva deciso di riaprire l’accesso ai turisti stranieri a febbraio e solo in quest’area, dove si trova la città di Rason, molto importante per la leadership nordcoreana perché centro di controllo dei traffici russo-sino-nordcoreani. L’apertura è durata poco più di quindici giorni.
Chi si avventura in questa regione remota, al confine segnato dal fiume Tumen scende dall’auto e attraversa il ponte a piedi. Superati i controlli, finisce dentro al regime guidato dai Kim. Abbiamo accesso a diversi nuovi dettagli altrimenti sconosciuti di questa regione perché a metà gennaio la leadership di Pyongyang aveva fatto un annuncio atteso da molti osservatori di questioni nordcoreane: dopo cinque anni in cui nessuno è potuto entrare nel paese per via della pandemia da coronavirus, ora siamo pronti a riammettere i turisti stranieri. In realtà, già dallo scorso anno, i turisti russi possono entrare nel paese – e il motivo è naturalmente legato alla relazione speciale che in questo periodo c’è fra Mosca e Pyongyang.
Per entrare in Corea del nord serve uno speciale lasciapassare, un visto rilasciato da alcuni (pochissimi) tour operator che lavorano in stretto contatto con la leadership di Pyongyang, e che ieri, dopo aver pubblicizzato il ritorno dei viaggi in Corea del nord, hanno dovuto fare un’improvvisa retromarcia: “Aggiornamento del 5 marzo 2025: Rason è temporaneamente chiusa, aggiorneremo non appena ne sapremo di più”. Uno dei tour operator più famosi si chiama Koryo Tours, un’azienda di base a Pechino fondata negli anni Novanta dagli inglesi Nick Bonner e Joshua Green, tristemente nota perché nel 2016 il giovane studente americano Otto Warmbier, che era partito per trascorrere il Capodanno a Pyongyang con la Koryo Tours, fu arrestato all’aeroporto prima del suo volo di ritorno e venne rilasciato solo sei mesi dopo, in stato comatoso. Morì pochi giorni dopo il suo rientro a Cincinnati, in Ohio, per ragioni che i suoi genitori non sono mai riusciti a ottenere. Warmbier era stato accusato dalle autorità nordcoreane di “atti ostili”, per aver rubato un poster di propaganda che era affisso in uno dei corridoi del suo hotel di Pyongyang. L’arresto sembrava una scusa per attuare la cosiddetta “politica degli ostaggi”, ampiamente praticata in passato da Pyongyang. Da allora però Koryo Tours e gli altri tour operator che lavorano con la Corea del nord sono cauti nell’organizzare certi viaggi, anche per via dell’incertezza su un business che si basa sulle decisioni della leadership.
Per il primo tour dopo la riapertura, Koryo Tours ha selezionato accuratamente i partecipanti, spiega al Foglio Nicolas Pasquali, argentino che ha anche la cittadinanza italiana e che è stato a Rason dal 13 al 17 febbraio scorsi. Pasquali era molto determinato a mettere piede in Corea del nord, perché era il paese che gli mancava per ottenere il record di italiano più giovane ad aver visitato tutti i paesi del mondo e il primo argentino con questo titolo. Il fatto che le autorità nordcoreane avessero autorizzato i turisti occidentali ad andare a Rason, invece che a Pyongyang come succedeva prima del 2020, non faceva molta differenza per lui. In questi giorni Pasquali sta facendo interviste con diversi media, e al Foglio spiega che i tredici partecipanti al tour avevano tutti il suo medesimo obiettivo: andare a fare l’esperienza nordcoreana, scattare foto e video, e tornare sani e salvi rispettando tutte le regole imposte. “Rason non è una zona turistica, per di più per la gente del posto eravamo i primi stranieri che vedevano da cinque anni. Direi che fossero spaventati da noi!”, racconta.
Rason è una zona industriale e di promozione commerciale per il regime. Il gruppo di tredici viaggiatori/influencer è stato portato, per esempio, alla Golden Triangle Bank, l’unica banca nordcoreana che può emettere carte di credito anche agli stranieri. Nel prezzo del viaggio di cinque giorni pagato dai partecipanti, circa 600 euro, erano compresi alloggio e pasti, inclusa la locale birra Tumangang (il birrificio è stato aperto nel 2020 con tecnologia della Repubblica Ceca) gratis – “l’acqua invece dovevamo pagarla”. E il motivo di tutta questa promozione è politico: a trasformare l’area di oltre 700 chilometri quadrati in una Zona economica speciale era stato Kim Jong Il, ma è stato il figlio Kim Jong Un a credere davvero nel progetto. Mentre la regione industriale di Kaesong, fra Corea del nord e Corea del sud veniva chiusa definitivamente nel 2013, Kim voleva che quel fazzoletto di terra, un cuscinetto fra Cina, Russia e Corea del nord diventasse non solo l’hub del mercato nero – e dei traffici marittimi illeciti: il porto di Rason è il più a nord e più utile perché privo di ghiaccio – ma un triangolo di affari, un po’ come il Triangolo d’oro fra Laos, Thailandia e Myanmar. “E’ un posto di merda, Rason”, dice Pasquali, “ma è incredibilmente ricco. Ci sono ragazzini che parlano un inglese perfetto, l’hotel era molto tecnologico, il cibo buonissimo”.


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