Manifestanti contro l'oleodotto Dakota Access marciano lungo Pennsylvania Avenue verso la Casa Bianca a Washington, 10 marzo 2017 (Foto ANSA)

Il maxi risarcimento

Come un processo clamoroso in North Dakota minaccia di far fallire Greenpaeace, o quasi

Jacopo Giliberto

Una compagnia petrolifera ha chiesto 300 milioni di dollari di risarcimento all'organizzazione ambientalista, accusata di aver messo in giro notizie farlocche per alimentare le proteste contro il contestatissimo oleodotto Dakota Access Pipeline

Il domandone. Se si tratta di salvare il pianeta, allora è legittimo mentire? E chi risarcisce i danni eventuali che potrebbero essere stati prodotti da queste panzane? Di questo deve giudicare un tribunale minuscolo del Nord Dakota. La compagnia petrolifera statunitense Energy Transfer asserisce di essere stata danneggiata dalle affermazioni antipetrolifere (e calunniose, secondo lei) del colosso della comunicazione Greenpeace e chiede un risarcimento di 300 milioni di dollari. Se la compagnia petrolifera dovesse vincere la causa, il risarcimento potrebbe sprofondare in una crisi finanziaria la consociata statunitense della multinazionale verde. Il “giorno in pretura” si svolge a Mandan, 25mila abitanti a forte tasso petrolifero e trumpiano nella contea di Morton. L’oggetto della contesa è lungo 1.886 chilometri: è il contestatissimo oleodotto Dakota Access Pipeline, che convoglia fino a una raffineria dell’Illinois 750mila barili al giorno del greggio estratto dagli scisti bituminosi. Questa tubazione è uno dei motivi che hanno reso gli Stati Uniti il primo produttore di petrolio al mondo.

Quando il tubo venne posato, fra il 2016 e il 2017 ci furono proteste a non finire e scontri con la polizia. Questo tubo distruggerà il fiume Missouri, devasterà la terra delle tribù Dakota, la CO2 della combustione del greggio ammorba l’atmosfera del pianeta. Il petroliere Kelcy Warren attribuisce a Greenpeace la responsabilità dei mancati guadagli prodotti dalle contestazioni alla sua azienda Energy Transfer.  L’Energy Transfer asserisce che erano farlocche le notizie che hanno indotto le dimostrazioni indignate contro l’oleodotto, dalle quali sarebbero sortite centinaia di milioni di dollari di danni e di mancati guadagni, e accusa di ciò Greenpeace International, con sede in Olanda, Greenpeace Fund Inc e la filiale statunitense di Greenpeace, l’unica che però potrebbe subire una condanna. Greenpeace si difende e afferma di avere svolto solo un ruolo minore nelle proteste e ha solamente fornito ai contestatori “formazione non violenta di azione diretta”. Il 27 febbraio l’organizzazione ambientalista ha chiesto di trasferire il processo in un’altra contea, poiché questa pare coinvolta troppo da vicino, ma un giudice ha respinto la richiesta.
 

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