
Gli incravattati
La grancassa trumpiana che stava con Kyiv e che ora dice che Kyiv vuole la “guerra senza fine”
La retorica trumpiana ha trasformato una guerra di difesa contro un aggressore violento e in violazione della legge internazionale, in una guerra inutile da far finire subito, se solo gli ucraini fossero davvero interessati alla pace. I facilitatori che sono disposti a tutto pur di restare nelle grazie di Donald Trump
“L’impressione è che la Francia vuole che questa guerra continui”, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, commentando il discorso di Emmanuel Macron sulla minaccia russa e la necessità (e capacità) europea di combatterla. Le parole di Mosca sono le stesse che usa ormai ininterrottamente Elon Musk, che si è intestato la campagna di denigrazione di Volodymyr Zelensky declinandola nel tono forse più disumano di tutti, e il livello è già parecchio brutale: quanti altri morti volete, voi ucraini e voi europei, prima di mettere fine a questa guerra? In quest’ultima torsione, dopo aver cancellato il termine “aggressore” da sempre appaiato alla Russia, la “guerra senza fine” è un obiettivo di Zelensky e degli europei, non di chi l’ha cominciata e di chi ha riorganizzato da tempo la propria economia per combatterla a lungo.
Quindi, in questo precipizio che è diventata la politica estera americana, prima s’è iniziato a dire che Zelensky era un mendicante che non avrebbe più avuto la sua mancia americana (Donald Trump jr), poi che gli americani devono essere ricompensati di tutto quel che hanno speso per la difesa ucraina (Donald Trump), che la Russia non è l’aggressore (una risoluzione dell’Onu votata dagli americani e, naturalmente, dai russi), che Zelensky e i suoi alleati europei non vogliono far finire la guerra (tutta l’Amministrazione Trump), che Zelensky lascia morire gli ucraini solo perché è orgoglioso e irrispettoso (Elon Musk) e che si sta combattendo “una proxy war tra potenze nucleari, gli Stati Uniti che aiutano l’Ucraina e la Russia, e deve finire” (Marco Rubio).
Questa è una sintesi di come una guerra di difesa contro un aggressore violento e in violazione della legge internazionale sia stata trasformata dalla retorica trumpiana (con grandi prestiti da quella di Vladimir Putin) in una guerra inutile da far finire subito, se solo gli ucraini fossero davvero interessati alla pace. Ci sarebbero altri dettagli invero dolorosi, ma questa deformazione basta a spiegare perché tutto il chiacchiericcio sull’inglese stentoreo di Zelensky, sul suo non essersi messo la giacca e la cravatta per andare alla Casa Bianca, sul suo non aver ascoltato i consigli di chi gli diceva: accetta tutto, poi vediamo, è del tutto fuori fuoco rispetto alle intenzioni dei trumpiani, che sono quelle di essere celebrati come dei pacificatori, indipendentemente da condizioni e solidità di una pace. Lo storico Timothy Snyder ha fotografato così l’attuale situazione: “E’ un punto ovvio, ma sembra che dobbiamo continuare a sottolinearlo: quando Trump indebolisce l’Ucraina crea le condizioni per una guerra più lunga e più sanguinosa”. Il punto è ovvio ma i trumpiani ne sono del tutto indifferenti, lo considerano una roba da liberal o da guerrafondai che per loro sono sinonimi: una grande differenza tra questa Amministrazione e quella del primo mandato, dal 2017 al 2021, è proprio l’assenza di guardiani, di dissenzienti, di pensieri autonomi rispetto al volere del presidente. Mona Charen, autrice del vivacissimo sito Bulwark, chiede: “Dove sarebbe Trump senza i suoi difensori senza spina dorsale?”. Forse non sarebbe nemmeno alla Casa Bianca ché è dal primo impeachment di Trump, quello nato dalla telefonata estorsiva e ricattatoria fatta proprio a Zelensky, che i repubblicani abdicano al loro ruolo – un ruolo che si erano dati loro stessi (oltre che la Costituzione): Rubio, oggi segretario di stato, nel 2016 diceva: “Negli anni a venire, ci sono molte persone di destra, nei media e tra gli elettori, che dovranno spiegare e giustificare come hanno fatto a cadere nella trappola del sostegno a Donald Trump”.
Ci sono facilitatori che oggi colpiscono più di altri per quel che riguarda l’Ucraina, come il senatore Lindsey Graham, che è andato più volte in Ucraina, che ha partecipato alla stesura di una mozione al Congresso perché la Russia fosse inclusa nella lista americana dei paesi terroristi, che ha sbandierato orgoglioso il mandato di cattura ordinato da Mosca nei suoi confronti, che alla conferenza di Monaco, già con toni radicalmente cambiati, dava comunque manate sulla spalla a “this guy”, cioè Zelensky, e diceva che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non poteva essere immediato ma dovrebbe scattare in automatico nel momento in cui la Russia violasse il cessate il fuoco che si firmerà – ecco Lindsey Graham ha detto che Zelensky ha fatto un errore di vanità quando ha deciso di non ascoltarlo, lui gliel’aveva detto, prima del famigerato incontro alla Casa Bianca con Trump, che avrebbe dovuto ascoltare e accettare tutto, come a dire: puoi soltanto arrenderti, fallo senza piangere.
L’elenco dei facilitatori – che Anne Applebaum definisce già da molto tempo “collaborazionisti” – è ben più lungo e va sommato ai repubblicani che invece, da sempre, pensano che non spetti all’America difendere la libertà nel mondo. Alcuni hanno delle motivazioni, nessuno ha delle giustificazioni.