(LaPresse)

Dall'Ucraina

Anche un corpo è un testimone. L'accanimento di Mosca contro Vika

Kristina Berdynskykh

Il semplice atto umano che la Russia non riesce a compiere: la riconsegna della salma dell'unica giornalista ucraina che dopo l'inizio dell'invasione si è recata nei territori occupati, raccontando cosa stava realmente accadendo al loro interno

Il corpo della giornalista ucraina di 27 anni, Victoria Roshchina, si trova da qualche parte in Russia da più di cinque mesi. Mosca continua a non consegnarlo alla parte ucraina e non spiega perché non compie questo semplice atto umano. Victoria Roshchina è stata l’unica giornalista ucraina che, dopo l’inizio dell’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, si è recata nei territori occupati, raccontando cosa stava realmente accadendo al loro interno. Nel marzo 2022, gli agenti del Servizio di sicurezza federale russo (Fsb) l’hanno tenuta in arresto per 10 giorni nella regione di Zaporizhzhia. Dopo il suo rilascio e il ritorno nella parte del paese sotto il controllo Kyiv, la giornalista ha continuato a indagare sulle azioni degli occupanti russi nei territori ucraini conquistati e alla fine di luglio 2023 è ripartita per una missione estremamente pericolosa. Roshchina era una freelance, nessuno dei suoi colleghi sapeva dove sarebbe andata esattamente o cosa volesse trovare. Nell’agosto del 2023 è stata catturata di nuovo senza che la Russia muovesse un’accusa formale nei suoi confronti. Un anno dopo, il 19 settembre 2024, secondo le informazioni del ministero della Difesa russo, è morta e la notizia venne comunicata al padre di Roshchina il 2 ottobre 2024, via mail. Nel testo, il ministero della Difesa non indica la causa della morte, né allega documenti medici che certifichino il decesso.


 “Quando è arrivata la mail, abbiamo subito deciso di indagare cosa le fosse accaduto durante la prigionia”, racconta al Foglio Anna Babinets, giornalista ucraina e tra le autrici del documentario L’ultimo compito di Vika, uscito il 3 marzo. Il film è il prodotto di un’inchiesta durata cinque mesi e realizzata dai giornalisti di Slidstvo.info, Suspilne, Grati con Reporter senza frontiere per scoprire le circostanze della prigionia di Roshchina. Con l’aiuto di testimoni e delle forze dell’ordine, sono stati in grado di stabilire l’esatto itinerario di viaggio della giornalista, l’argomento della sua indagine, dove e in quali condizioni è stata trattenuta. Il 25 luglio 2023, Roshchina entrò in Polonia e poi si diresse verso la Lettonia, diretta al confine con la Russia. Attraversò il posto di blocco di Ludonka, entrando così nella regione di Pskov, l’obiettivo era entrare nella parte occupata della regione di Zaporizhzhia. Secondo uno dei testimoni che ha aiutato la giornalista, voleva trovare le prove delle “camere di tortura” in diverse città. Per esempio, le interessava sapere dove si trovassero i russi a Enerhodar e cosa facessero con i dipendenti della centrale nucleare di Zaporizhzhia che non erano d’accordo con le loro disposizioni. Da Enerhodar, ogni contatto con lei è scomparso. La testimone chiave dell’indagine è la compagna di cella di Victoria Roshchina nel centro di detenzione russo di Taganrog.

La donna è tornata in Ucraina durante a uno scambio di prigionieri. Victoria le aveva raccontato che, dopo il suo arresto, è stata trattenuta per diversi giorni a Enerhodar e poi trasportata a Melitopol. Le aveva raccontato degli interrogatori, delle botte e delle torture con i cavi elettrici. Sul suo corpo aveva due cicatrici dovute a tagli di coltello: sul braccio e sulla gamba. Nel centro di detenzione preventiva n. 2 di Taganrog ha trascorso 9 mesi, da dicembre 2023 a settembre 2024. Fu lì che cominciò ad avere gravi problemi di salute e a perdere molto peso: chiese delle pillole per lo stomaco, le vennero negate. Alla fine di giugno del 2024 è stata ricoverata. Secondo la sua compagna di cella, a quel tempo Roshchina pesava circa 30 chili: “Riusciva ad alzarsi dal letto solo grazie al mio aiuto. Era in uno stato tale che non era neppure in grado di sollevare la testa dal cuscino”. Dopo l’ospedale, Roshchina venne trasferita in una cella di isolamento. Ricevette la visita di uno psichiatra e anche del direttore del carcere. La giornalista aveva chiesto di essere rilasciata, scambiata o deportata. L’8 settembre Roshchina venne portata fuori dalla cella e nessuno l’ha più vista. 


Il 12 settembre, durante uno scambio di prigionieri, 23 donne sono tornate in territorio ucraino, ma la giornalista non era tra loro. Sono passati più di 5 mesi da quando il padre ha ricevuto la mail in cui gli veniva comunicata la morte di sua figlia e che il suo corpo sarebbe stato restituito durante uno scambio. Il cadavere di Vika si trova ancora in territorio russo: “Più a lungo il corpo resta lì, meno prove si possono raccogliere su cosa le è successo”, spiega Babinets. “L’Ucraina, la famiglia di Vika e le organizzazioni internazionali sollevano costantemente la questione della restituzione del corpo e l’urgenza di fornire informazioni sulla sorte della giornalista”, assicura al Foglio Yaroslav Yurchyshyn, presidente della commissione parlamentare per la libertà di parola. “La Russia ignora queste lettere o invia risposte formali”. I genitori non hanno partecipato alla prima proiezione del film investigativo su Victoria. Stanno ancora aspettando prove concrete della sua morte e del suo corpo, non solo una lettera.

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