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LA forza fa l'Unione

Il riarmo dell'Europa non è solo una questione di risorse finanziarie

Guido Tabellini

Chi deciderà cosa? Per la Difesa comune serve una sovranità politica più forte e integrata. Perché c'è bisogno di costruire una struttura di comando efficace, dei servizi segreti integrati, un corpo diplomatico europeo

L’accelerazione impressa dalla Commissione europea sul riarmo e su una politica della difesa comune è un passo importante verso una direzione obbligata. Ma è solo un primo passo, su una strada ancora lunga, che non può che portare a una più completa e avanzata unione politica tra i paesi europei. Il metodo intergovernativo su cui si è retta finora la costruzione europea mantiene la responsabilità politica nelle mani dei governi degli stati membri. Questo metodo ha il grande vantaggio di affidare le decisioni più importanti a un organo legittimato dalle istituzioni politiche nazionali. Ma gli svantaggi sono altrettanto evidenti. Siccome ogni leader deve rendere conto ai suoi elettori, la discussione si concentra sulla tutela degli interessi nazionali di breve periodo, non sulle priorità strategiche dell’Unione europea. Ci preoccupiamo se le risorse per il riarmo vengono sottratte ai beneficiari dei fondi di coesione, o di quale paese trarrà più beneficio dalla maggiore spesa in armamenti. 

 

Dovremmo invece pensare a come costruire una struttura di comando efficace, dei servizi segreti integrati, un corpo diplomatico europeo. 

 

La difesa dell’Europa, finora, è stata sostenuta dagli Stati Uniti non solo con le armi, i soldati e la tecnologia, ma anche con la sua leadership. Se non possiamo più fare affidamento sugli Stati Uniti, oltre a riarmarci, occorre anche definire una struttura di comando integrata e creare una capacità decisionale adeguata. Non è solo una questione di risorse finanziarie, ma anche e soprattutto di sovranità politica. Chi deciderebbe se e come usare un eventuale ombrello nucleare? Chi dovrà dare l’ordine di rischiare la vita dei soldati, e di quali soldati? Con quale struttura di comando? E per difendere quali confini? E’ difficile immaginare che queste domande possano avere una risposta adeguata se l’Europa non costruisce una sovranità politica più forte e integrata, dove i cittadini partecipano direttamente alle scelte politiche europee, senza l’intermediazione dei governi nazionali.

 

Un’obiezione comune all’idea di una unione politica europea è che gli interessi economici e politici e le tradizioni culturali degli stati membri sono troppo diversi tra loro perché un’unione politica europea possa funzionare. Ma chi solleva questa obiezione si dimentica di quanta eterogeneità di interessi e di punti di vista ci sia all’interno di ogni stato. In uno studio recente presso IEP@BU dell’Università Bocconi abbiamo confrontato le opinioni dei cittadini europei su un’ampia gamma di argomenti riguardanti atteggiamenti culturali e politiche pubbliche. Le differenze di opinioni tra cittadini appartenenti a diversi stati membri sono sostanzialmente analoghe a quelle che si osservano all’interno di ognuno di essi. Ciò che rende difficile l’unione politica non è tanto la divergenza di interessi, quanto il prevalere di identità nazionali anziché europee. Ma le identità sono malleabili, e sono influenzate dagli atteggiamenti politici. Tra i difetti del metodo intergovernativo, vi è anche quello di rinforzare le identità politiche nazionali, a scapito di una comune identità europea. Le minacce esterne, tuttavia, sono spesso il metodo più efficace per rinforzare identità comuni. Da questo punto di vista, Donald Trump sta regalando all’Europa un’opportunità storica per creare finalmente una vera unione politica. 

 

Una seconda obiezione è che la frammentazione politica, in una prospettiva storica, ha giovato all’Europa. In fondo, nei secoli passati, la competizione tra stati e la sperimentazione di idee politiche alternative hanno reso l’Europa più forte e capace di innovare. Ora che il pericolo di guerre fratricide tra europei sembra svanito, un’Europa più integrata politicamente sarebbe forse più statica e più propensa a fare errori rispetto a un’Europa integrata anche politicamente. Questo ragionamento ha certamente una validità storica, ma non tiene conto di cosa è cambiato. In un mondo dominato dai grandi paesi, e in cui le economie di scala associate alle nuove tecnologie digitali sono diventate sempre più rilevanti, la frammentazione politica è diventata insostenibile. Il vantaggio competitivo europeo, oggi, non passa più dalla sperimentazione di diversi modelli nazionali, ma dalla capacità di sfruttare appieno la dimensione e il potenziale delle nostre risorse collettive.

 

Una terza obiezione è forse la più seria: non abbiamo tempo. Le minacce sono immediate – dalla guerra in Ucraina alle svolte autoritarie negli Stati Uniti, fino alla rapidità delle trasformazioni tecnologiche – e richiedono risposte urgenti. Riformare le istituzioni politiche europee sarebbe una distrazione che non possiamo permetterci. Ma ci sono davvero alternative?  E’ vero che le riforme istituzionali richiedono tempo, e forse non tutti gli stati membri sono pronti. Ma non basta spendere di più in difesa o rinforzare il mercato unico. E’ giunto il momento di discutere anche di come costruire un’ Europa più politica, e di come convincere i cittadini che sono europei, prima ancora che italiani, francesi o tedeschi. Proprio perché realizzare questi cambiamenti richiede tempo, prima cominciamo, meglio è.

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