(Ansa)

Intelligence e contraerea, la difesa Ue (senza gli Usa) riparte da qui

Vincenzo Camporini

L'Europa deve affrontare l'ipotesi di non godere più della protezione americana e comportarsi da "free rider". La risposta non può essere lasciata ai singoli paesi, che solo collettivamente hanno la potenzialità di esprimere capacità operative significative

Il 4 dicembre 1998, prendendo atto della palese incapacità dei paesi europei di gestire militarmente le crisi generate dalla dissoluzione della Jugoslavia, Chirac e Blair a Saint-Malo concordarono di promuovere la creazione di una politica comune europea di sicurezza e di difesa, ivi compresa la costituzione di una forza militare capace di agire in modo autonomo per la gestione di operazioni rientranti sotto la definizione di “missioni di Petersberg”, quelle elaborate ancora nel giugno del 1992, comprendenti tutti i possibili interventi da attuare in caso delle crisi immaginabili nello scenario del post Guerra Fredda, da quelli più squisitamente umanitari a quelli di peace-keeping e di peace-enforcement, con esplicito riferimento all’uso della forza militare.


L’intesa di Saint-Malo non si poneva in competizione con la Nato, bensì rispondeva a un’ottica di complementarietà e ricevette dopo pochi giorni la “benedizione” dell’allora segretario di stato americano Madeleine Albright, che pose tre condizioni, sotto la forma di tre “D” da evitare: Duplicazioni rispetto a quanto già disponibile, in particolare il sistema di pianificazione, comando e controllo, Discriminazione verso i paesi membri dell’’Alleanza non facenti parte dell’Ue (con particolare riferimento alla Turchia) e, soprattutto, dal punto di vista politico, Disaccoppiamento tra le due sponde dell’Atlantico. In essenza, la preoccupazione americana era di evitare che capacità militari proprie dell’Unione portassero a uno sganciamento strategico dell’Europa dagli Stati Uniti. Ebbene, quello a cui assistiamo in queste frenetiche giornate è proprio il brusco allentamento del rapporto transatlantico ma, paradossalmente, non per una volontà di emancipazione degli europei, bensì per un radicale cambio di rotta della politica di Washington, che ha platealmente definito l’Ue come un’istituzione creata per fregare gli Stati Uniti, un competitore, anzi un avversario.


Improvvisamente dunque l’Europa deve affrontare l’ipotesi di non godere più della protezione americana, accusata, in parte a ragione, di comportarsi da “free rider” secondo la definizione di Obama. In realtà ciò è abbastanza discutibile, non foss’altro perché, anche se è vero che i paesi europei nel loro complesso spendono molto meno degli Stati Uniti, è anche vero che una parte cospicua di quei fondi ha storicamente alimentato l’industria militare americana. Tuttavia, al di là delle recriminazioni, è un fatto che d’ora in poi noi europei per la nostra sicurezza dovremo contare su noi stessi, in scenari che peraltro si fanno sempre più cupi, e non solo per la potenziale minaccia dall’est, ma anche per l’instabilità del Mediterraneo e di tutto il Nord Africa e medio oriente, senza dimenticare l’Artico, che i mutamenti climatici stanno rendendo progressivamente agibile, creando una nuova vulnerabilità. La risposta non può essere lasciata ai singoli paesi, che solo collettivamente hanno la potenzialità di esprimere capacità operative significative, essendo per tutti evidente che l’attuale frammentazione renderebbe inutile qualsiasi sforzo nazionale, che si tradurrebbe solo in uno spreco di risorse.


Si comprendono quindi le frenetiche manovre politiche, i vertici convocati d’urgenza, prima a Parigi e poi a Londra, in formati diversi e sempre significativi. I nodi politici vengono riproposti insieme alle questioni finanziarie e a quelle della politica industriale. Si parla di cifre che fino a qualche mese fa sarebbero state considerate inverosimili: Draghi parla dell’esigenza di 500 miliardi in 10 anni; ora von der Leyen anticipa un piano da 800 miliardi e non ci si domanda più se sono cifre verosimili, bensì come trovarle, con quali meccanismi. Prima però di parlare di quattrini, bisogna identificare quali siano le esigenze da soddisfare e di questo dovremo discutere. Ne menzioniamo qui solo un paio, drammaticamente venute alla ribalta con le operazioni sul fronte ucraino: capacità di intelligence, cioè di raccogliere le informazioni in tutto lo spettro, ottico, elettronico, cyber, di analizzarle e fornirle in modo sicuro agli operatori sul terreno, il che presuppone capacità di comunicazioni istantanee; poi difesa dalla minaccia portata dal cielo con i mezzi più svariati, dai droni da qualche centinaio di euro ai missili balistici. E siamo solo all’inizio. Occorre fare in modo che l’opinione pubblica capisca chiaramente e diventi consapevole che non si tratta di capricci di generali, ma della sicurezza di ciascuno, delle nostre comunità e del nostro modo di vita. 

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