
"Elbows up"
Il Canada afflitto dai dazi trumpiani trova un premier esperto e un'allegra unità
Mark Carney ha vinto le primarie della sinistra e sarà premier, fino alle elezioni. Il paese s'è capovolto e s'è raddrizzato di nuovo, tutto diverso da prima, ma pronto a difendersi dalle mire annessionistiche di Washington e dai dazi
“Il Canada non farà mai e poi mai parte dell’America, in nessun modo, forma o misura”, ha detto Mark Carney, il prossimo premier canadese, festeggiando la sua vittoria bulgara alle primarie della sinistra del Liberal Party, “non abbiamo cominciato noi questo scontro – ha continuato – Ma i canadesi sono sempre pronti quando ricevono un guanto di sfida, gli americani non si facciano illusioni, nel commercio come nell’hockey, il Canada vincerà”. Gli applausi sono partiti festosi, con l’urlo “elbows up” a scandirli, in una sala tutta rossa e bianca – era vestita di rosso-Canada la moglie di Carney, l’economista Diane Fox che sta già subendo gli attacchi della trumpsfera che le dà della “ecoterrorista”, ed era vestita di bianco l’ultima delle quattro figlie dei Carney, Cleo, che ha presentato il vincitore delle primarie, suo padre. “Elbows up”, che è una citazione di Gordie Howe, mitico giocatore di hockey che si proteggeva tenendo alti i gomiti, è il motto della resistenza alla guerra commerciale lanciata dall’Amministrazione Trump e alle mire annessionistiche del presidente americano, che vuole trasformare il Canada nel 51esimo stato americano. Mark Carney, sessant’anni domenica prossima, al suo debutto nella politica ma con due mandati da governatore, uno alla Banca centrale del Canada e uno in quella dell’Inghilterra, vuole essere il leader di questa resistenza.
Dall’elezione di Donald Trump il Canada s’è capovolto e raddrizzato di nuovo, ritrovandosi però molto diverso da com’era partito. Justin Trudeau, il premier uscente che domenica sera ha fatto festa a Carney e si è commosso difendendo i suoi dieci anni di governo, si è dimesso all’inizio di gennaio, ma la tenuta del suo governo era compromessa da qualche settimana, dopo che la sua vice e ministra delle Finanze, Chrystia Freeland, si era dimessa poco prima della presentazione dei risultati economici, che presentavano un deficit molto più alto del previsto. Freeland e altri ministri accusavano Trudeau di prendere troppo poco sul serio le minacce di dazi di Trump. Gli dicevano, anzi, che era un illuso e un credulone (che è un po’ il problema che hanno con il presidente americano anche molti leader europei e in generale gli alleati dell’America, educati da ottant’anni di fiducia). Trudeau era andato a Mar-a-Lago dai trumpiani, aveva cenato in una delle sale dorate della villa, ed era tornato a casa rassicurato, anche perché lo stesso Trump aveva dato un giudizio positivo dell’incontro. Ma era tutto falso, a partire dall’ostentata cordialità di Trump, che è notoriamente vendicativo e detesta Trudeau già dal suo primo mandato alla Casa Bianca (ci sono molte teorie a riguardo, una è la foto di un bacio di saluto tra il premier canadese e la first lady Melania, in cui lei ha l’aria sognante). Così sono iniziate le minacce di dazi poderosi e lo svilimento del premier, anzi del “governatore” del Canada, con i trumpiani che pubblicavano dei carrelli di Amazon in cui negli ordini c’erano: la Groenlandia, il canale di Panama e il Canada. La popolarità di Trudeau era già bassa, Trump ha dato il colpo decisivo e se n’è preso orgoglioso il merito: non si era nemmeno insediato alla Casa Bianca e già aveva buttato giù un governo che, nella sua nuova geografia, è un governo nemico.
Nel momento in cui Trudeau si è dimesso, il Liberal Party aveva nei sondaggi uno svantaggio di più di 20 punti percentuali rispetto al Partito conservatore guidato dal 2022 da Pierre Poilievre, brillante quarantenne che ha costruito il suo consenso attorno a quattro slogan su tasse, case, conti e criminalità: “Axe the Tax”, “Build the Homes”, “Fix the Budget” e “Stop the Crime”. Soprannominato il “Trump canadese” per il suo istinto libertario e la sua comunicazione efficace, Poilievre era dato come inevitabile nuovo premier canadese, un altro motivo di esultanza per i trumpiani, che non solo avevano liquidato Trudeau ma si ritrovavano con un leader amico al governo. Poi però le minacce di dazi da parte di Trump sono diventate annunci di dazi, introduzione di dazi, rimozione di dazi e reintroduzione di dazi, in un continuo tira e molla che ha stordito i mercati e innervosito i canadesi. Anche perché l’idea di annettere il Canada, che sembrava uno scherzo, è diventata ben più concreta: Matina Stevis-Gridneff del New York Times ha avuto accesso alle trascrizioni di una doppia telefonata tra Trudeau e Trump il 3 febbraio scorso, in cui il presidente americano non si lamentava soltanto della mancanza di reciprocità commerciale in alcuni settori, come quello alimentare e quello finanziario. Trump ha detto a Trudeau di voler rivedere i trattati che regolano il confine stesso tra Canada e Stati Uniti e anche quelli che riguardano la condivisione delle acque dei laghi e dei fiumi tra le due nazioni.
I canadesi hanno reagito a questa aggressione economica e Mark Carney è riuscito a intercettare questa preoccupazione, con i suoi discorsi poco carismatici ma precisissimi e con la sua esperienza: Carney ha guidato la Banca centrale canadese durante lo choc finanziario del 2008-9 e la Banca centrale inglese durante la Brexit, si è insomma conquistato sul campo la fama di uno bravo ad ammaestrare incertezza, rabbia, anche le fantasie politiche che, nelle emergenze, prosperano spesso senza contraddittorio (i brexitari, non a caso, lo detestano). Carney non ha alcuna esperienza né nella politica né nel governo e in questa prima fase delle primarie questo è stato un vantaggio: l’ex governatore è riuscito a smarcarsi dall’impopolarità e dagli errori di Trudeau. Il resto, in realtà, lo ha fatto Trump con il suo accanimento e lo hanno fatto i canadesi che, al grido “elbows up”, hanno scoperto un patriottismo che forse non era mai esistito, hanno iniziato a fare attenzione ai prodotti “made in Canada” a discapito di quelli americani, a fare i conti in tasca ai vicini americani, perché certo l’economia canadese dipende da quella americana, ma in alcuni settori il rapporto è invertito, e soprattutto a sventolare la bandiera canadese, a fischiare l’inno americano nelle partite, a trasformare in magliette e cappellini la loro resistenza. Questo patriottismo inatteso ha premiato anche Trudeau, che in queste settimane ha tenuto testa a Trump e ha saldato i rapporti con gli europei, anche loro tramortiti dalla brutalità trumpiana, e Carney ha puntellato questa ascesa con i suoi dati, la sua concretezza, e i suoi continui riferimenti alla storia d’amore interrotta con gli americani.
Poilievre è rimasto impantanato, per il momento, nella sua retorica contro “il Canada fatto a pezzi” dalla sinistra, ora che anche lui difende il paese dalla guerra commerciale trumpiana e, questo da sempre, dalla retorica anti immigrazione. Il suo vantaggio non è ancora del tutto consumato e la data delle elezioni non è ancora stata fissata: dal 21 di aprile fino alla fine di ottobre ogni momento è buono. Molti sospettano che Carney voglia approfittare del momento e dell’insperata luna di miele con i canadesi per tentare di vincere la prima elezione della sua vita e difendere il Canada da Trump, elbows up.
